Numeri di gran lunga superiori alle più rosee aspettative quelli che concernono l’andamento dei PIR, i Piani Individuali di Risparmio. Così Il Sole 24 Ore analizza l’andamento del prodotto a diciotto mesi dalla sua introduzione sul mercato italiano con la legge di bilancio 2017.
Cosa sono i PIR
I Piani Individuali di risparmio sono una sorta di investimento a medio termine presenti già con successo all’estero – vedi Gran Bretagna, Francia e Usa – e dedicati ai piccoli investitori. A proporli società di gestione del risparmio ma possono essere anche di natura assicurativa. Ogni singolo PIR deve essere mantenuto almeno cinque anni e non può superare i 30mila euro di investimento. Un singolo investitore non può superare i 150mila euro di investimento in piani individuali di risparmio e in cambio l’investitore otterrà una detassazione e non pagherà tasse sul capital gain, dividendi, successione e donazione.
L’andamento del mercato dei PIR
Sui prodotti che soddisfano le caratteristiche dei PIR – circa 70 – la raccolta è arrivata a quota 14,4 miliardi di euro con 19 miliardi di euro in gestione, numeri positivi scrive il quotidiano di Confindustria. Ma c’è una zona d’ombra visto che sono solo 4 i miliardi finiti a small e mid cap e meno di 150 milioni alle matricole Aim. Ciò significa che i PIR non hanno prodotto grandi risultati sul fronte del finanziamento delle pmi come dimostra anche il segno meno pari a circa il 2% registrato dall’indice borsistico Ftse Italia Pir Pmi All Index da inizio anno ad oggi. Se quasi 4 miliardi dei Pir siano confluiti sì su small e mid cap italiane, presenti soprattutto sul listino Aim, gran parte di questo flusso però è arrivato attraverso acquisti sul mercato secondario, cioè su azioni già quotate, innescando così lievitazioni di prezzi a dismisura. Lapidario il commento di Anna Gervasoni, direttore generale di Aifi.
“Neanche un euro dei Pir è finito nelle casse di imprese non quotate attraverso strumenti di private equity, private debt e venture capital”.