L’appello è contenuto tutto in una lettera, che è stata pubblicata sulla Stampa e che ha tra i firmatari i presidenti dei Parlamenti nazionali di Italia, Francia, Germania, Lussemburgo. Per l’Italia, la firma è quella della presidente della Camera, Laura Boldrini che, insieme agli altri, chiede all’Unione europea si ritrovare, praticamente, la sua ragion d’essere, e anche di rafforzarsi, attraverso una Unione Federale.
“Più integrazione europea” e “più Europa”: queste sono solo alcune delle ricette per difendersi dal diffondersi a macchia d’olio del populismo che i funzionari chiedono. Ma nelle stesse ore in cui la lettera viene pubblicata, l’Ue assiste alla sua ennesima lacerazione interna, con la Polonia e Ungheria che si alleano per opporsi alla burocrazia del blocco.
La Polonia non è riuscita mai a digerire “l’avvertimento formale” che Bruxelles ha lanciato nei suoi confronti per la tutela dello stato di diritto, una procedura che può tradursi anche in una sospensione del diritto di voto. L’Ue è intervenuta sulla scia delle modifiche che Varsavia ha apportato nella composizione della Corte Costituzionale e anche a causa della legge che ha reso più forti le ingerenze governative negli organi di stampa pubblici del paese.
L’avvertimento era arrivato anche in risposta alle manifestazioni di piazza, che avevano visto più di 200.000 persone manifestare contro la “svolta autocratica” della Polonia che, sotto l’egida del premier Beata Szydlo avrebbe anche approvato misure per permettere ai servizi segreti di spiare i profili e i post online dei cittadini.
La tensione ha raggiunto i massimi livelli a seguito del nuovo appello della Commissione europea, che ha reputato contraria allo stato di diritto la procedura di nomina del giudice Julia Przylebaska alla Corte Costituzionale da parte del presidente polacco Andrzej Duda e che ha dato tempo al governo polacco fino alla fine di febbraio per proteggere l’indipendenza della Corte. Una deadline che è stata letteralmente snobbata dalla Polonia, che con la procedura sullo stato di diritto rischia di essere anche privata del diritto di voto nell’Ue.
Il punto è che tuttavia, affinché ciò accada, è necessario che il ‘verdetto’ sia unanime, e che dunque tutti i 28 paesi del blocco siano d’accordo a ‘punire’ la Polonia. Così non è, visto che Varsavia ha trovato un ottimo alleato in un altro paese Ue che è stato spesso criticato da Bruxelles per presunte violazioni della normativa europea: l’Ungheria.
Polonia e Ungheria fanno parte già del gruppo Visegrad, che comprende anche Repubblica Ceca e Slovacchia. Il gruppo si oppone apertamente alla politica di immigrazione dell’Ue e offre una visione tutta sua di come l’Unione europea dovrebbe essere trasformata. E ora la Polonia intende estendere la propria influenza anche oltre il gruppo, puntando al rafforzamento delle relazioni anche con la Romania, altro paese Ue che si oppone ai piani di ripartizione delle quote dei richiedenti asilo all’interno del blocco.
La lettera di Boldrini e altri funzionari Ue che chiede più Europa
Fra meno di un mese, il 17 marzo prossimo, noi Presidenti dei Parlamenti nazionali dell’Ue ci ritroveremo a Roma, come faranno i rappresentanti dei governi, per il sessantesimo anniversario dei Trattati dai quali prese avvio la nostra Unione. Ma è sotto gli occhi di tutti che la ricorrenza esige ben altro che una semplice rievocazione storica. Il compleanno arriva nella fase più critica mai attraversata dal progetto europeo.
La disoccupazione e la crescita delle disuguaglianze in molti Paesi alimentano una pesante sfiducia dei cittadini, acuita dall’incapacità degli Stati membri di gestire in modo solidale i flussi migratori. In questo clima trovano terreno fertile movimenti populisti, nazionalisti e persino xenofobi.
Sono messe in discussione la libera circolazione delle persone e altre conquiste del processo di integrazione. Per la prima volta uno Stato membro ha deciso di uscire dall’Unione.
In una tale situazione non dobbiamo farci paralizzare dalla paura, né dalle preoccupazioni legate alle scadenze elettorali imminenti in alcuni dei nostri Paesi. Dobbiamo agire ora, prima che sia troppo tardi. E cogliere l’occasione dell’anniversario per tornare alla visione e allo spirito dei Padri fondatori e rilanciare la costruzione europea su basi rinnovate.
Valorizzando certo le molte conquiste comuni di questi sessant’anni di sviluppo pacifico, che sono stati nel complesso un periodo di straordinario avanzamento dei nostri Paesi in termini di benessere e di diritti fondamentali; ma anche facendo chiarezza su ciò che ci tiene insieme.
Si tratterà dunque di mettere in risalto quel che ci unisce, di preservare ciò che fa del nostro progetto uno spazio di libertà e di pace e di porre rimedio a ciò che non funziona, in particolare alle diseguaglianze e alle ingiustizie che rischiano di dividerci.
La dichiarazione «Più integrazione europea: la strada da percorrere» indica in modo netto cosa c’è da fare per vincere le sfide europee e globali. Noi quattro la sottoscrivemmo nel Palazzo romano di Montecitorio il 14 settembre 2015. Oggi le firme sotto quel testo sono diventate quindici.
Dobbiamo arrenderci all’evidenza che questo numero non aumenterà più. Ciò dimostra che esiste una forte disponibilità a una cooperazione rafforzata, ma anche che non c’è una posizione comune di tutti Parlamenti dell’Ue.
Noi siamo convinti che di fronte alla crisi abbiamo bisogno di più Europa, anche se dobbiamo affrontare venti contrari. Non possiamo ignorare l’impatto sociale nefasto che le misure economiche e finanziarie hanno avuto su decine di milioni di famiglie.
Dobbiamo puntare alla crescita e all’occupazione: l’Europa non può avere nessun fascino per i giovani se non offre loro credibili prospettive di lavoro. Dobbiamo avere il coraggio di condividere sovranità nei tanti settori in cui l’azione dei singoli Stati è ormai del tutto inefficace e destinata a fallire: dal riscaldamento climatico alle politiche energetiche, dai mercati finanziari alle regole per l’immigrazione, dall’evasione fiscale evasione fiscale alla lotta contro il terrorismo.
È giunto allora il momento di procedere verso un’integrazione politica più stretta: un’Unione federale di Stati dotata di ampie competenze. Sappiamo bene che la prospettiva suscita anche forti resistenze, ma l’immobilismo di alcuni non può diventare la paralisi di tutti.
Chi crede nell’ideale europeo deve poterlo rilanciare anziché assistere impotente al suo lento declino. E gli Stati membri che non vogliono aderire subito a tale più stretta integrazione dovrebbero poterlo fare in un secondo momento.
In questa prospettiva, la ricorrenza di Roma può essere una buona occasione per rivitalizzare lo spirito dei Trattati istitutivi della Comunità degli Stati europei. Un’occasione da non perdere.
Claude Bartolone, Presidente della Assemblée nationale (Francia)
Laura Boldrini, Presidente della Camera dei deputati (Italia)
Mars Di Bartolomeo, Presidente della Chambre des députés (Lussemburgo)
Norbert Lammert, Presidente del Bundestag (Germania)