Pmi rimandate in digitalizzazione 4.0. Solo una su quattro può contare su tecnologie avanzate
Bene ma non benissimo. Semplificando si potrebbe sintetizzare così l’attuale relazione tra il mondo delle piccole e medie imprese italiane e i processi di innovazione e digitalizzazione 4.0. Partendo dall’assunto che le aziende con un numero di addetti tra i 10 e i 249 rappresentano numericamente solo il 5% del totale delle imprese italiane, ma da sole generano il 41% dell’intero fatturato del nostro Paese, appare evidente che una bassa propensione delle stesse al 4.0 impatti in modo significativo sull’economia locale e sulla competitività internazionale.
È quanto emerge da una ricerca, realizzata su un campione di circa 1500 PMI e focalizzata sulla maturità digitale del tessuto produttivo italiano in collaborazione con l’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano PMI.
Dall’analisi emergono chiaramente dati preoccupanti: solo il 26% delle piccole e medie imprese italiane è pronta a sfidare i mercati mondiali potendo contare su tecnologie avanzate e processi produttivi digitalizzati. Questo nonostante 9 imprenditori su 10 considerino l’innovazione e la visione 4.0 necessari per lo sviluppo del business aziendale.
Freni che ostacolano lo sviluppo tecnologico
Secondo Giorgia Sali, ricercatore senior dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano: “manca la reale volontà di innovare da parte degli imprenditori italiani. Le previsioni di investimento in processi digitali nel 2020 parlano di stagnazione e in alcuni casi anche di contrazione rispetto all’anno appena trascorso, confermando una visione di sviluppo in ottica 4.0 ancora troppo timida. La reticenza nell’allocare investimenti in digitalizzazione da una parte è spiegata da una visione imprenditoriale che guarda più al breve che al medio lungo termine, dall’altra dalla presenza di alcuni elementi di freno quali i costi di acquisto dei servizi digitali percepiti come troppo elevati (27%), la mancanza di competenze e di cultura digitale nell’organizzazione (24%), lo scarso supporto da parte delle istituzioni (11%). Su quest’ultimo punto, si riscontra anche una scarsa conoscenza da parte di chi guida le aziende degli incentivi messi in campo dal Governo, in particolare nel Centro e Sud Italia: si è rilevato che ad esempio il 68% degli imprenditori non è aggiornato sui voucher consulenza in innovazione promossi dal MISE”.
In altre parole, serve crederci di più, investendo in tecnologie e persone. A tal proposito la ricerca ha messo in luce un altro punto cruciale legato allo sviluppo tecnologico delle PMI italiane: le competenze.
Per il 44% delle aziende medio piccole italiane il presidio delle aree ICT e Digital è del Responsabile IT il quale, nella maggioranza dei casi, è impiegato a gestire attività non innovative ma di manutenzione ordinaria dei sistemi informatici.
Solo nel 20% dei casi è presente negli stabilimenti un Innovation Manager che porta avanti le attività legate a percorsi di innovazione, di prodotto e/o di interi processi aziendali. Il 18% delle PMI ha invece una figura dedicata a uno specifico ambito del digitale o a un singolo processo, ad esempio un responsabile della sicurezza informatica, un eCommerce Manager oppure un Data Scientist, senza però avere un presidio generale che coordini le progettualità in maniera centralizzata.
Infine, il 18% non ha alcuna figura dedicata. Esiste quindi un eccessivo frazionamento di competenze e di ruoli che operano all’interno dei processi tecnologici delle imprese e in molti casi servizi e opportunità digitali strategici in termini di competitività vengono esternalizzati, come ad esempio l’e-commerce, il CRM, le piattaforme web.