Banche centrali

Tassi, la settimana delle banche centrali: tutte le decisioni

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Con la decisione della Bank of England di ieri si chiude la “settimana” delle banche centrali. 7 giorni in cui si sono concentrati gli annunci di politica monetaria dei principali istituti centrali sui tassi d’interesse. Cominciamo proprio dalle recenti decisioni della Banca d’Inghilterra e della Federal Reserve (Fed) di mercoledì sera, senza dimenticare la Bank of Japan (BoJ) di martedì e la Banca centrale europea di giovedì scorso. Ecco in sintesi le decisioni.

La Bank of England mantiene invariati i tassi, i più alti da 15 anni

Bank of England ha mantenuto i tassi d’interesse ai massimi degli ultimi 15 anni, con l’obiettivo di combattere l’alta inflazione che persiste come la più elevata tra le principali economie globali, e ha enfatizzato la sua intenzione di non ridurli nel breve termine. Il Comitato per la Politica Monetaria (Mpc) ha votato con una maggioranza di 6-3 a favore del mantenimento del tasso d’interesse invariato; i tre rappresentanti del comitato di politica monetaria avrebbero preferito un incremento dei tassi al 5,5%.

Nonostante la diffusione di previsioni che segnalano un prossimo periodo di recessione per l’economia britannica e una stagnazione prolungata nei prossimi anni, la Bank of England ha deciso di mantenere il tasso d’interesse al 5,25% per la seconda riunione consecutiva, dopo la serie di 14 aumenti consecutivi. Inoltre, la Bank of England ha ribadito che i costi del rifinanziamento rimarranno elevati, sebbene finora solamente la metà dell’impatto della serie di rialzi dei tassi si sia riflesso nell’economia.

Fed ancora in pausa, ma non esclusi nuovi rialzi

Per la seconda volta consecutiva, anche la Federal Reserve ha deciso di mantenere invariati i tassi d’interesse nel range tra 5,25-5,50%. Questa decisione è stata presa all’unanimità dal Federal Open Market Committee. Tuttavia, non sono esclusi ulteriori aumenti dei tassi, e la riunione chiave sarà l’ultima del 2023 in calendario il prossimo 13 dicembre.

L’ultima volta in cui la Fed ha ridotto i tassi d’interesse è stata nel marzo del 2020, in risposta agli impatti economici della pandemia da Coronavirus. A partire da marzo del 2022, a causa dell’incremento dell’inflazione, ha iniziato le sue strette e, da allora, in ogni riunione ha annunciato un rialzo, con le uniche eccezioni a marzo di quest’anno e negli ultimi due meeting di settembre e novembre.

In conferenza stampa, il presidente Jerome Powell ha riconosciuto che “cambiamenti persistenti nelle condizioni finanziari possono avere implicazioni per l’andamento della politica monetaria“, motivo per cui gli sviluppi finanziari sono attentamente monitorati.

Invariati anche quelli della Bank of Japan

Anche la Bank of Japan (BoJ) non cambia spartito. L’istituto centrale nipponico ha annunciato martedì tassi di interesse di riferimento a breve terminefermi  a -0,1%, confermando così la sua politica monetaria accomodante.

La BoJ ha confermato il suo obiettivo di mantenere i tassi dei titoli di Stato giapponesi allo zero per cento ma ha ampliato la banda di oscillazione tollerata, portandola all’1% anziché lo 0,5% precedente.

La Banca del Giappone ha anche rivisto al rialzo le sue previsioni sull’inflazione per il prossimo anno fiscale, indicando ora un aumento dell’indice dei prezzi al consumo (CPI) dell’2,8%, notevolmente al di sopra del +1,9% previsto tre mesi fa.

Anche la Bce frena

Stesso copione della Fed anche per la Banca Centrale Europea (BCE). Lagarde & Co. hanno annunciato di mantenere invariati i tassi d’interesse, segnando così la prima pausa dopo una serie di dieci aumenti consecutivi. Il tasso sui rifinanziamenti principali rimane così al 4,50%, quello sui depositi al 4%, e quello sui prestiti marginali al 4,75%. La decisione è stata presa all’unanimità durante la riunione che si è svolta ad Atene.

La nota dell’istituto afferma che:

Le nuove informazioni hanno confermato sostanzialmente la valutazione precedente circa le prospettive di inflazione a medio termine. Ci si attende tuttora che l’inflazione resti troppo elevata per un periodo di tempo troppo prolungato; inoltre perdurano le forti pressioni interne sui prezzi.

L’istituto inoltre sottolinea il “netto calo” dell’inflazione (headline e core) registrato a settembre, imputabile ai forti effetti base.