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Politica: “istituzioni usate come bancomat per imprenditori”

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Roma – Ottantuno milioni e 600 mila euro: è lo spaventoso conto che è stato presentato ai contribuenti italiani per gli uffici di 86 senatori a partire dal 1° maggio 1997. Circa 950 mila euro ciascuno. Ovvero, 67.857 euro l’anno, 5.654 al mese, per una stanza nel centro di Roma. Tanto per capire, con quei soldi si paga a Roma la pigione di una decina di appartamenti in periferia. Oppure l’affitto di almeno un paio di uffici da 123 metri quadrati come quello di proprietà dell’Ipab occupato in piazza Campitelli dall’assessore alla Casa del Comune, l’europarlamentare Alfredo Antoniozzi.

Ma per capire come si è arrivati a spendere una cifra che ha dell’incredibile è necessario tornare al 1997, quando l’amministrazione di palazzo Madama (presidente del Senato era Nicola Mancino e segretario generale Damiano Nocilla) stipula con una società dell’immobiliarista Sergio Scarpellini un contratto d’affitto di un ex albergo romano, il Bologna, dove collocare 86 studi di altrettanti senatori.

Prezzo, tre miliardi e mezzo di lire l’anno: un milione 807.599 euro più Iva e rivalutazione Istat. Scarpellini è un personaggio piuttosto noto negli ambienti istituzionali: è il proprietario dei palazzi Marini, occupati, con un meccanismo contrattuale di cui beneficia la sua società Milano 90, del tutto analogo a quello dell’ex albergo Bologna, dagli uffici dei deputati. Ma per cifre molto più ingenti, considerando i volumi: in 13 anni l’amministrazione di Montecitorio ha speso 561 milioni per gli affitti e i servizi annessi. I contratti prevedono infatti che Scarpellini fornisca alla Camera non solo gli spazi fisici ma anche il servizio chiavi in mano: portineria, commessi, pulizie, bar.. Così anche all’ex albergo Bologna. Dove il Senato paga dal 1997 per i servizi una cifra netta aggiuntiva alla pigione pari a un milione 291.142 euro l’anno.

Tutto sembra filare liscio fino al 2001, quando il Senato decide di far valere una clausola contrattuale che gli garantisce il diritto ad acquistare l’immobile. Il prezzo viene fissato da un collegio arbitrale in 23 milioni 920.475 euro. Ma Scarpellini lo contesta e ne nasce un contenzioso. Alla fine il Senato rinuncia all’acquisto e Scarpellini rinuncia a due anni di pigione. E si va avanti con l’affitto, grazie a un nuovo contratto di 10 anni con scadenza il 1° maggio 2013.

Nel frattempo però l’amministrazione del Senato, dove è salito alla presidenza Marcello Pera e Antonio Malaschini è diventato segretario generale, non se ne sta con le mani in mano. Sono gli anni in cui non si bada a spese e qualche mese prima compra un palazzetto a Largo Toniolo dalla società di un signore che ha rilevato quello stabile da un fallimento e non è certamente un illustre sconosciuto.

È un senatore in carica. Si chiama Franco Righetti, autore di una lunga traversata centrista dal Ccd all’Udeur. Pur senza i numerosi protesti bancari che per giunta affliggono l’onorevole in questione, ce ne sarebbe abbastanza per porsi più d’una domanda. Che però, al Senato, nessuno si pone. In quel palazzetto, secondo i piani, dovrebbero in futuro finire una parte degli uffici dell’ex albergo Bologna. Ma l’avventura immobiliare si rivela un mezzo disastro: il palazzetto è composto da una decina di appartamenti classificati come abitazione, e il Comune di Roma non concede il cambiamento di destinazione d’uso.

La pratica si sblocca soltanto nel 2008, quando il sindaco Walter Veltroni si candida alle politiche e nella giunta tecnica che gli subentra compare come «sub commissario» con delega all’urbanistica proprio una dirigente del Senato. Fulmineo, a quel punto, il via libera del Comune. E i lavori possono partire: in quel palazzetto troveranno posto 30-35 uffici.

Non contenti, mentre si sta comprando il palazzetto di Largo Toniolo, i signori del Senato concludono un’altra ardita operazione immobiliare: l’affitto dall’Isma, l’Istituto Santa Maria in Aquiro, di un altro palazzetto di 3 mila metri quadrati a poca distanza dal Pantheon. È così malandato che saranno necessari interventi costosissimi.

Ma la ristrutturazione sarà quasi interamente a spese dello Stato. Senza considerare che il Senato comincia fin da subito, prima ancora dell’inizio dei lavori di ristrutturazione, a pagare l’affitto: 425 mila euro l’anno più Iva e adeguamento Istat. Il calvario va avanti otto anni e oggi non è ancora finito. Dopo lavori interminabili, soltanto nei giorni scorsi sono stati consegnati i primi 21 uffici. La ristrutturazione, gestita come quella del palazzetto di Largo Toniolo dal provveditorato alle opere pubbliche del Lazio, già regno di Angelo Balducci, è costata allo Stato 26 milioni: quasi 9 mila euro al metro quadrato, cifra addirittura superiore, secondo le quotazioni di mercato, al valore dell’immobile.

Ben 7 volte il costo che una perizia del Demanio, rivelata dalla trasmissione Le Iene su Italia 1, aveva considerato congruo: pena la possibilità di dichiarare nullo quel contratto. Che però, guarda caso, nessuno si sogna di impugnare.

Commenta il segretario radicale Mario Staderini: «Sembra che la priorità fosse far girare soldi più che avere nuovi uffici. La sensazione è che Camera e Senato siano stati utilizzati come un bancomat per imprenditori d’area e annesse spartizioni partitocratiche. E ora ci ritroviamo una città della politica che occupa 220 mila metri quadrati, quattro volte il Louvre». E il bello è che se i radicali non avessero preteso che fossero resi pubblici tutti i contratti, di questo pasticcio non si conoscerebbero molti dettagli.

Il bilancio è agghiacciante. Per affittare gli 86 uffici dell’ex hotel Bologna il Senato ha già sborsato, Iva compresa, circa 26 milioni mezzo: tre milioni in più di quello che, secondo la stima contestata da Scarpellini, sarebbe costato acquistare l’immobile. Altri 25,7 milioni per comprare e ristrutturare il palazzetto di Largo Toniolo dove andrebbero 35 uffici. Per non parlare dei 29,4 milioni andati in fumo per Santa Maria in Aquiro, che dovrebbe accogliere altri 51 (ma c’è chi dice 54) uffici: 26 milioni per ristrutturarlo più 3,4 milioni di affitti inutilmente pagati per 8 anni, dal 1° marzo 2003 a oggi.

Per questo immobile lo Stato ha speso più quattrini di quanti ne sarebbero serviti per comprarlo. Invece l’immobile resterà di proprietà dell’Isma e quando sarà scaduto il contratto, nel 2021, se il Senato vorrà continuare a occupare quegli uffici dovrà pagare una pigione raddoppiata: 850 mila euro. Un affarone.

Il totale speso finora per quegli 86 uffici è dunque di 81,6 milioni. Oltre alle bollette e ai servizi necessari al loro funzionamento. Il tutto per ritrovarsi con un pugno di mosche in mano, se si eccettua il piccolo stabile di Largo Toniolo. Risponderà mai qualcuno per questo immane spreco di denaro pubblico?

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