Economia

Ponte sullo Stretto, i soldi spesi dal 1981. Ma quanto ci costerà davvero?

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di Gianmarco Carriol

Il Senato ha approvato la conversione in legge del decreto sul ponte sullo Stretto di Messina con 103 voti favorevoli, 49 contrari e 3 astenuti. Il provvedimento era stato approvato dalla Camera il 16 maggio scorso. “E’ una decisione storica, definitiva, attesa da più di 50 anni”, ha chiosato vicepremier e ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Matteo Salvini, in conferenza stampa dopo il voto finale sul decreto, dicendosi convinto che l’opera genererà 100 mila posti di lavoro.

Il ponte sullo Stretto è un’opera che da anni fa discutere la politica, l’economia e gli italiani in generale. L’idea di una connessione fisica tra la Calabria e la Sicilia è molto antica, risale addirittura all’epoca dei romani, ma solo negli anni ’80 è stata ripresa seriamente dal governo.

Da allora, sono stati spesi milioni di euro per studi di fattibilità, progettazione e finanziamenti. L’unica certezza è che il ponte ancora non è mai stato costruito. Restano ancora vaghi e indefiniti i costi. L’incertezza è stata messa nero su bianco ora anche da un dossier della Camera dei deputati, il numero 64 del 9 maggio.

Quanto è costato il ponte sullo Stretto sino ad oggi: dal 1981 ad oggi

Il ponte sullo Stretto di Messina è un progetto ambizioso che ha richiesto molti studi di fattibilità e progettazione nel corso degli anni.

Secondo una ricostruzione dettagliata pubblicata su “Il Sole 24 Ore“, tra il 1981 e il 1997 sono stati spesi 135 miliardi di lire per vari studi di fattibilità.

Governo Berlusconi

Il governo Berlusconi ha poi dato il via ai lavori, aprendo nel 2009 il primo cantiere a Cannitello per lo spostamento di un tratto di ferrovia, originariamente autorizzato dal CIPE (anno 2006) con esclusiva finalità di “ambientalizzazione” della ferrovia e solo in seguito (2009) ricondotto a una indiretta funzionalità al ponte (liberare dall’ingombro dei binari ferroviari degli spazi destinati al blocco di ancoraggio sul lato calabrese del ponte). Nel frattempo, il costo dell’opera è già salito a oltre 130 milioni di euro.

Nel 2007, la società Stretto di Messina è stata controllata all’81,84% da Anas (oggi parte di Ferrovie dello Stato) e partecipata da Rete ferroviaria italiana (Rfi), Regione Calabria e Sicilia.

Tuttavia, il progetto ha subito una serie di rallentamenti politici e di polemiche, con diverse forze politiche che si sono espresse contro la costruzione del ponte, soprattutto in relazione ai costi e alla sostenibilità ambientale dell’opera.

Governo Monti

Nel 2013, il premier Mario Monti ha deciso di chiudere la partita e la società Stretto di Messina è stata messa in liquidazione. Secondo il bilancio del 2013, ai 342 milioni da dare alla società Stretto di Messina fra penali e indennizzi, occorre aggiungere gli oltre 130 milioni spesi fra studi e gestione degli anni ’80 e ’90. Inoltre, ci sono stati risarcimenti di parti terze poiché non sono stati fatti accantonamenti a garanzia, ovvero le cause legali fatte alla Stretto di Messina.

Ad esempio, il consorzio che aveva vinto l’appalto Eurolink – capitanato da Salini Impregilo, oggi WeBuild, partecipata anche da Cdp (quindi dallo Stato) – ha in sospeso un appello con una richiesta di 657 milioni di euro per illegittimo recesso.

Inoltre, ci sono altre cause legali da affrontare, come quella da 90 milioni intentata da Parsons, colosso dell’ingegneria civile Usa.

I costi da sostenere in caso di realizzazione: si stimano 10 miliardi

Tuttavia, i costi già sostenuti per il Ponte sullo Stretto di Messina sono solo una parte del conto totale.

Secondo il progetto originario, il costo era di circa 4,4 miliardi (valori al 2003, anno in cui il progetto preliminare venne approvato), ma il Consorzio Eurolink si aggiudicò nel 2005 la gara operando un ribasso che portò il valore del contratto (sottoscritto ad aprile 2006) a 3,9 miliardi (a valore 2003). In base alle previsioni contrattuali, il contratto nello stesso anno 2006 ebbe una aggiornamento del valore monetario e un incremento dell’oggetto, giungendo a circa 6 miliardi di euro. Negli anni questo costo è aumentato ancora, arrivando a 13,5 miliardi di euro, secondo quanto prevede un allegato del Def (Documento di Economia e Finanza). Per quanto riguarda i raccordi stradali di competenza ANAS il valore non è definito nel Def, dove si afferma solamente che saranno molto inferiori rispetto ai raccordi ferroviari di RFI. A tale costo vanno aggiunti i costi delle opere complementari e di ottimizzazione alle connessioni ferroviarie, lato Sicilia e lato Calabria, che dovranno essere oggetto del contratto di programma con Rfi. Si stima un costo di 1,1 miliardi.

Al finanziamento dell’opera, puntualizza il documento, “si intende provvedere mediante: le risorse messe a disposizione dalle Regioni a valere, in particolare, sui Fondi per lo Sviluppo e la Coesione; l’individuazione, in sede di definizione della legge di bilancio 2024, della copertura finanziaria pluriennale a carico del bilancio dello Stato; i finanziamenti all’uopo contratti sul mercato nazionale e internazionale: saranno a tal fine considerate prioritarie le interlocuzioni con finanziatori istituzionali quali la Banca europea degli investimenti e Cassa depositi e prestiti; l’accesso alle sovvenzioni di cui al programma Connecting Europe Facility – Cef (partecipazione al bando entro settembre 2023). Ricordiamo che giovedì c’era stato l’ok della commissione Trasporti a Bruxelles sul progetto.

Le critiche di Montecitorio

Ora sono arrivati anche i rilievi di Montecitorio, che lamentano la mancata indicazione dei costi di costruzione del ponte:

“Pur rilevando che la quantificazione dei costi dell’opera resta rinviata al futuro piano economico finanziario della concessione (e, in questo senso, la disposizione così introdotta non dovrebbe comportare effetti di carattere diretto ed immediato), tuttavia il meccanismo prefigurato dalla norma ha l’effetto di includere nel costo dell’opera nuove voci di spesa precedentemente non considerate in quanto i contratti caducati ope legis hanno cessato di produrre effetti e i relativi indennizzi, ai sensi dell’articolo 34-decies del DL n. 179/2012, avrebbero dovuto costituire l’unica pretesa dei soggetti interessati». In sostanza la norma, dice il dossier, produce nuovi effetti sui conti pubblici la cui definizione viene rinviata a una fase successiva. Tenuto conto di tali considerazioni, sia del fatto che i relativi dati dovrebbero essere disponibili, trattandosi di contratti già esistenti e noti alla parte contraente risulta necessario acquisire elementi conoscitivi circa gli effetti finanziari che le disposizioni in esame produrranno sul costo complessivo dell’opera, ciò anche in considerazione del fatto che, come già rilevato in occasione dell’esame del testo iniziale del decreto-legge in esame, ai sensi della direttiva del Parlamento europeo n. 2014/24/UE (attuata con il codice dei contratti pubblici di cui al D. Lgs. n. 50/2016) i contratti e gli accordi quadro possono essere modificati senza una nuova procedura d’appalto nei casi ivi previsti e purché l’eventuale aumento di prezzo non ecceda il 50% del valore del contratto iniziale (cfr. art. 106 del codice dei contratti pubblici)”.

In parole povere, dal decreto non ci comprendono i costi del progetto del ponte, sebbene il governo assicuri che l’opera non costerà più di 13,5 miliardi di euro. La perplessità avanzata dal documento di Montecitorio non riguarda solamente la mancata indicazione “definitiva” e completa del costo attuale dell’infrastruttura (coi suoi collegamenti), ma si estende al fatto che questi incrementi (da definire e valutare in maniera piena e puntuale) possano superare la soglia del 50% del valore del contratto iniziale, contravvenendo così al vincolo imposto dall’art. 106 del Codice degli Appalti e richiedendo dunque la risoluzione del contratto originale e l’attivazione di una nuova gara. Inoltre, la Camera sta esaminando  la norma di adeguamento dei prezzi schizzati per via dell’aumento delle materie prime e dell’inflazione grazie agli indici Istat e a un aggiornamento “a corpo” parametrato in base alla media delle variazioni del valore dei primi quattro progetti infrastrutturali banditi da Rfi e Anas nell’anno 2022 (su 2021 e 2023).