Per uscire dalla crisi dopo che l’aumento di capitale dell’anno scorso ha fatto flop, Pop Vicenza ha offerto ai suoi soci denaro come rimborso del calo di prezzo delle azioni, con l’impegno però a rinunciare a eventuali contenziosi con la banca. Tra i 94 mila azionisti, che hanno visto il valore delle azioni scendere a 10 centesimi da oltre 62 euro, figura anche il vescovo della città, Monsignor Beniamino Pizziol: dalla sua scelta dipende il futuro della diocesi vicentina e del suo staff.
Si tratta di una decisione da un quarto di un milione di euro (quasi 236.300 euro) per la diocesi di Vicenza e in ballo c’è il lavoro di centinaia di dipendenti. Non sorprende quindi che il vescovo della città veneta si sia preso del tempo per riflettere e per poter ragionare insieme a un gruppo di collaboratori sui pro e i contro dell’offerta di transazione e sulle sue conseguenze. Secondo il portavoce, la valutazione non sarà esclusivamente di carattere economico ma anche etico.
Detto questo, la questione dei soldi non è affatto secondaria. A fine 2015 la diocesi vicentina deteneva un pacchetto di ben 26.254 azioni della banca: se accettasse la transazione proposta da Pop Vicenza, verrebbe a incassare 9 euro per azione. All’apice del valore dei titoli (62,5 euro) la quota in mano al capo della Chiesa della città toccava una somma decisamente superiore: un milione e 640 mila euro.
La riduzione costante e drastica del valore delle azioni di Pop Vicenza ha spinto il clero vicentino a riunirsi in assemblea per fare una valutazione della situazione economica delle casse della diocesi. Come rende noto Il Giornale di Vicenza, l’anno scorso l’8 per mille ha fruttato alla Chiesa cittadina 2 milioni e 750 mila euro. Non serve un genio della matematica per capire che più di un milione e mezzo di euro (quanto valevano le azioni Pop Vicenza prima della crisi le azioni) avrebbero fatto comodo.
Valore azioni proposto: un settimo rispetto ai massimi
Il successo della transazione, la cui offerta di rimborso si chiude il 22 marzo ma può essere estesa al 30 giugno, non dipende solo da quello che farà il vescovo, bensì dalla percentuale totale di adesioni. Per ora l’offerta congiunta dell’istituto di credito vicentino con Veneto Banca ha ottenuto il 25% dei consensi. L’obiettivo delle due banche a secco di capitali è quello di arrivare all’80%.
La banca è stata sottoposta a un cambiamento pressoché totale del management. La dirigenza ora guidata da Fabrizio Viola, ex AD di Mps che lo scorso dicembre ha preso il posto del dimissionario Francesco Iorio, ha fatto sapere che agli aderenti “saranno riservate esclusive condizioni commerciali che consentiranno di beneficiare di rendimenti maggiorati” sui depositi vincolati e “di agevolazioni consistenti su alcuni prodotti e servizi bancari” tra cui il mutuo e il conto corrente.
Sono stati due rappresentanti della banca a vedere Pizziol per avanzargli la proposta di scambio. Complice la debole crescita economica dell’Italia, negli ultimi tempi si è aggravata la crisi del settore bancario, sul quale pesano una montagna di incagli (passati dai 33 miliardi del 2008 ai 113 miliardi del 2014 secondo i dati di Bankitalia) che in molti casi diventano poi sofferenze lorde. Al momento i crediti deteriorati iscritti nei bilanci delle banche italiane si attestano a circa 360 miliardi di euro.
Mps, Pop Vicenza e Veneto Banca figurano tra le banche italiane con le maggiori difficoltà patrimoniali, per aiutare le quali il governo Gentiloni ha fatto ricorso a un decreto che prevede l’esborso di finanziamenti per 20 miliardi di euro. Le tre banche, di cui solo la prima è quotata in Borsa, hanno avuto tassi di ingresso a nuovi incagli superiori o vicini al 100%, mentre la media delle 12 banche più importanti d’Italia si attesta al 70%.
Le due principali banche del ricco Nord-Est italiano, che stanno studiando la possibilità di effettuare un’aggregazione, hanno tentato di rafforzare le proprie situazioni patrimoniali ricorrendo a un aumento di capitale nel 2016. Il risultato è stato il quasi totale azzeramento del capitale in mano agli azionisti. Al termine delle due operazioni, con una quota pari quasi al 100%, il fondo Atlante è diventato il primo socio di ognuna delle banche.