Durante l’annuale simposio di politica economica della Federal Reserve Bank di Kansas City, a Jackson Hole nel Wyoming, Jerome Powell, presidente della Fed, ha evidenziato i miglioramenti dell’inflazione rispetto all’anno precedente. Tuttavia, “sebbene l’inflazione sia scesa dal suo picco, rimane troppo alta“. In effetti l’ultimo dato mostra una crescita dei prezzi al consumo al 3,2% negli Usa, in aumento rispetto a giugno, e ancora troppo distante dall’obiettivo prefissato da Powell e colleghi: il 2%.
L’inflazione quindi non demorde, nonostante tutte le mosse condotte dalla Fed. In America il malcontento sul rialzo dei prezzi si fa sempre più acceso, soprattutto quello relativo alla pompa di benzina. Oggi alla fine qualcosa in più s’è saputo su quale linea gli Stati Uniti vogliono seguire nella loro politica anti-inflazionistica.
Inflazione USA, Powell: “Siamo pronti ad aumentare ulteriormente i tassi”
Dacché è presidente della Federal Reserve, nel 2018, Jerome Powell ha utilizzato i suoi discorsi annuali a Jackson Hole per promuovere agende politiche praticamente superpartes. E se nell’ultima era stato molto duro, parlando di una politica monetaria che avrebbe prodotto “molto dolore” (in effetti l’aumento dei tassi FED sono arrivati ad un target tra il 5,25 e il 5,5%, il livello più alto in 22 anni), anche a questo simposio non è stato molto leggero.
Siamo pronti ad aumentare ulteriormente i tassi, se opportuno, e intendiamo mantenere la politica monetaria a un livello restrittivo finché non saremo sicuri che l’inflazione si stia muovendo in modo sostenibile verso il nostro obiettivo.
In pratica Powell vuole adottare una politica monetaria oculata, basata sul “procedere con attenzione” alle dinamiche che si svilupperanno nei prossimi mesi. Pertanto è categorico al momento il mantenimento dei tassi su livelli quantomeno pari a quelli attuali, senza prendere in considerazione alcun taglio. “
Nelle prossime riunioni, valuteremo i nostri progressi […] Sulla base di questa valutazione, procederemo con cautela nel decidere se stringere ulteriormente o, invece, mantenere costante il tasso ufficiale e attendere ulteriori dati.
A preoccupare Powell sono soprattutto i servizi non immobiliari (nonhousing services), la componente più difficile da valutare in quanto meno sensibile agli aggiustamenti dei tassi di interesse.
Data la dimensione di questo settore, ulteriori progressi saranno essenziali per ripristinare la stabilità dei prezzi.
Anche se può fare ben poco, dal momento che i tassi della FED si concentrano sull’inflazione core, e quindi non influenzerebbero troppo i prezzi alimentari ed energetici.
La situazione americana: inflazione dall’8% al 3%, ma i costi sono alti
Negli ultimi 3 anni l’inflazione americana ha letteralmente fatto un giro sulle montagne russe. Stabile da anni tra il 2-3% annuo, era precipitata quasi in deflazione all’inizio della pandemia Covid-19, per poi tornare all’ideale 2% a inizio 2021. E poi al 3% dopo pochi mesi, e così al 4% in pochissimo tempo. In meno di un anno l’inflazione ha superato addirittura l’8%, registrato nel mese di settembre 2022. La punta più alta dal 1982, quando era addirittura in discesa dopo il record di inizio 1980 (quasi il 15%). Per questo l’anno scorso Powell aveva ribadito una politica della Fed aggressiva nei confronti dell’inflazione.
Una mossa audace, che però ha fatto scatenare il panico a Wall Street, visto che si parlava non tanto di un aumento dei tassi d’interesse, ma di un “dolore economico in vista“. Non sono state parole molto dolci per il mercato, al punto che il giorno dopo il suo discorso ci fu un calo del 2% dell’indice S&P 500, e nei cinque giorni successivi il calo raggiunse il 5,5%. Prima del discorso di oggi, nonostante molti analisti avessero (giustamente) previsto un nuovo indirizzo più cauto rispetto all’anno prima, c’è stata una grossa svendita delle azioni, con i rendimenti dei titoli del Tesoro in rialzo.
Eppure il discorso del 2022 ha funzionato, e così la sua manovra politica. In un anno l’inflazione è scesa dall’8,2% di agosto 2022 al 3,2% di luglio 2023. E il mercato sta ripartendo, con una maggior solidità. Semmai ci sono ancora diversi problemi, soprattutto tra i consumatori. Come riporta la CNBC, il debito totale delle carte di credito ha superato per la prima volta il trilione di dollari e la Fed di San Francisco ha recentemente affermato che i risparmi in eccesso, accumulati dai consumatori, si esauriranno in pochi mesi. Complice anche la guerra in Ucraina, nel 2022 per la prima volta gli americani si sono ritrovati con il prezzo medio per gallone (che equivale a 3,8 litri) oltre i 5 dollari, se non 6 dollari in alcune zone. Oggi si sta stabilizzando sui 4 dollari al gallone, sempre un’enormità constatando che da anni erano abituati a soli 2 dollari.
Il rischio di una nuova accelerazione
Forse è giusta la cautela di Powell nel suo discorso di oggi. Anche perché gli analisti temono il peggio. E non si parla nemmeno di una paura infondata: in effetti i prezzi dell’energia sono aumentati durante l’estate del 2% secondo l’Energy Information Administration. A questo si aggiunge anche la progressiva scomparsa di alcuni fattori determinanti nella riduzione dell’inflazione, come l’aggiustamento statistico per i costi dell’assicurazione sanitaria. Non a caso, nel recente dato sull’inflazione USA di luglio 2023, dopo mesi di decelerazione, stavolta ha segnato uno 0,2% in più rispetto a giugno.
Sempre la CNBC riporta le stime della Fed di Cleveland, secondo cui questo piccolo aumento sarebbe solo l’inizio di una grande ripartenza inflazionistica, con i dati di agosto che potrebbero mostrare un notevole balzo. A riprova di questo, negli ultimi tempi i rendimenti obbligazionari sono aumentati, indicatore predittivo di una potenziale accelerazione. È ovvio che anche oggi la Fed vuole rimanere nella giusta via per riportare l’incremento dei prezzi all’obiettivo del 2% annuo. Infatti, lo stesso Powell non demorde su questo obiettivo: “Il 2% è e rimarrà il nostro obiettivo di inflazione”, ha affermato. A costo di altri rialzi dei tassi d’interesse.