ROMA (WSI) – Il ministro irlandese delle Finanze ha confermato che in caso di fallimento di una banca sarà attuato un prelievo forzoso sui conti correnti, allo scopo di salvaguardare i contribuenti e punire invece piuttosto l’istituto e i clienti che vi hanno fatto affidamento.
Ma non è solo in casi estremi come il fallimento di una banca che i cittadini rischiano di vedere sottratti i propri risparmi e una percentuale del proprio patrimonio. Dagli Stati Uniti all’Europa e il Giappone, infatti, presto le famiglie potrebbero trovarsi a sborsare una somma più alta anche di quella da pagare in caso di un crac dei mercati.
Secondo l’editorialista del Wall Street Journal Romain Hatchuel, infatti, i governi più indebitati del mondo stanno pensando a imporre una patrimoniale globale una tantum sui beni di capitale.
La Casa Bianca e il neoeletto sindaco di New York Bill de Blasio non sono gli unici a parlare di un innalzamento della pressione fiscale (in particolare per i più benestanti). Anche Fondo Monetario Internazionale, Warren Buffett e persino il miliardario gestore di fondi obbligazionari Bill Gross hanno lanciato un appello in questo senso.
Insomma la proposta sta contagiando anche le elite dei potenti e dei più benestanti. Il contesto per sostenere questo argomento sono ad esempio le attese del Fmi per un rapporto tra debito pubblico e Pil al 110% di media nelle economie industrializzate l’anno prossimo, il 35% sopra i livelli del 2007 e il 50% sopra il livello consentito dai patti di stabilità dell’area euro.
Nel passato gli esempi non mancano, scrive Hatchuel. Tra il 2008 e il 2012, diverse nazioni del mondo industrializzato (tra cui Regno Unito, Irlanda e Spagna) hanno aumentato la tassa sul reddito personale dell’8% di media. Negli Stati Uniti la scadenza degli sgravi fiscali imposti nell’era Bush ha alzato l’aliquota sui più ricchi dal 35% al 39,6%.
Quella che viene definita dal Fmi una “tassa sui redditi più alti per massimizzare le entrate” è un buon esempio di quanto lontano potrebbero spingersi gli incrementi di peso del carico fiscale per i più ricchi.
Secondo le stime e i calcoli che si basano sulla teoria della curva di Laffer, almeno al 63% e probabilmente ancora più in alto. Il tasso che consente di massimizzare le entrate tramite l’imposizione fiscale per i Paesi Ocse è al 60%, di molto sopra i livelli esistenti in Usa.
Alzandolo al 70% (dove si trovava prima del piano di tagli fiscali imposto dall’amministrazione Reagan) gli Stati Uniti sarebbero lo Stato in grado di ottenere i maggiori risultati: avrebbero un gettito di entrate fiscali aggiuntivo di circa l’1,25% del Pil.
Queste misure, dice l’editorialista, “ovviamente non sarebbero sufficienti a far tornare le maggiori economie mondiali su livelli di debito sostenibili”. Così come non lo sarebbero piani di rinengazione del debito o di riduzione del passivo via inflazione. Per quello ci vuole una crescita significativa.
In un report che ha fatto molto scandalo, il Fmi spiega che una tassa del 10% sui patrimoni delle famiglie dei paesi industrializzati consentirebbe di riportare il debito su livelli pre crisi.
A prima lettura una patrimoniale di questo tipo sembrerebbe assurda, ma non lo è più se si pensa a quanto accaduto in casi come quello di Cipro, dove i correntisti con almeno 100 mila euro depositati in banca hanno subito un prelievo forzoso per poter salvare lo stato indebitato, tanto dipendente dal sistema bancario.
Popoli di grandi risparmiatori come i giapponesi dovrebbero iniziare a preoccuparsi: al 240% del Pil, il loro tasso è pari a più del doppio di quello cipriota quando le finanze dell’isola del Mediterraneo hanno fatto crac.
L’utilizzo di armi di distruzione di massa del patrimonio, conclude l’articolo del Wsj, come la tassa una tantum proposta dal Fondo Monetario Internazionale o il prelievo coatto dai conti delle banche cipriote sono sempre più probabili in un mondo in cui i debiti sovrani sono così alti e così vicini al default.