Economia

Prestiti troppo cari, famiglie italiane attingono ai risparmi. Depositi in calo

L’aumento del costo del denaro ha reso il credito più costoso e meno accessibile sia per le famiglie sia per le imprese. Risultato finale: per far fronte all’impennata dei prezzi e creare un cuscinetto contro l’inflazione, famiglie e imprese hanno dovuto attingere alle loro riserve.

È quanto emerge dal rapporto mensile di aprile sulle banche realizzato dal Centro studi di Unimpresa, che ha rielaborato dati statistici della Banca d’Italia, e dal quale emerge che lo stock totale dei prestiti al settore privato è diminuito su base annua da 1.315,73 miliardi di euro a 1.275,88 miliardi di euro, con una riduzione di 39,84 miliardi di euro, pari a – 3,03%.

Nello stesso periodo, il totale dei depositi e conti correnti è diminuito da 2.029,31 miliardi di euro a 1.988,03 miliardi di euro, con una riduzione di 41,29 miliardi di euro, pari a – 2,03%.

“Questi dati, talora contestati dalle associazioni di categoria del settore creditizio, non tengono conto delle cartolarizzazioni di prestiti, vale a dire impieghi in buona parte deteriorati che le banche hanno ceduto, nel corso del periodo in esame, a società veicolo o player specializzati nella gestione del non performing loan. Se quei valori fossero computati nel conto totale, i risultati sarebbero diversi, tuttavia appare più corretto prendere in considerazione solo il credito risultante negli attivi bancari ovvero quello che è alla base della relazione tra la banca e la propria clientela” si legge in una nota.

Indice
  1. Imprese
  2. Famiglie

Imprese

Per quanto riguarda le aziende, complessivamente, i crediti erogati dalle banche sono diminuiti da 636,74 miliardi di euro a 611,17 miliardi di euro, con una contrazione di 25,57 miliardi di euro, pari al meno 4,02%.

Nel dettaglio:

  • i prestiti a breve termine sono aumentati da 139,86 miliardi di euro ad aprile 2023 a 140,68 miliardi di euro ad aprile 2024, registrando un incremento di 819 milioni di euro, +0,59%;
  • i prestiti con scadenza fino a 5 anni, invece, sono rimasti pressoché stabili, passando da 155,60 miliardi di euro a 155,79 miliardi di euro, con una variazione positiva di 188 milioni di euro, + 0,12%;
  • i prestiti a lungo termine hanno subito una diminuzione significativa, passando da 341,28 miliardi di euro a 314,71 miliardi di euro, con una riduzione di 26,57 miliardi di euro, pari a – 7,79%.

Famiglie

Quanto alle famiglie, i prestiti sono scesi da 678,99 miliardi di euro a 664,71 miliardi di euro, con una contrazione di 14,28 miliardi di euro, pari a – 2,10%. Nel dettaglio:

  • il credito al consumo (ovvero quello concesso principalmente per l’acquisto di viaggi, arredamento, automobili, elettrodomestici, computer e smartphone) è aumentato da 117,33 miliardi di euro a 120,98 miliardi di euro, con una crescita di 3,65 miliardi di euro, pari al più 3,11%;
  • i mutui ipotecari sono leggermente diminuiti da 425,91 miliardi di euro a 423,26 miliardi di euro, con una riduzione di 2,65 miliardi di euro, pari al meno 0,62%;
  • i prestiti personali hanno subito una significativa diminuzione, passando da 135,75 miliardi di euro a 120,47 miliardi di euro, con una riduzione di 15,28 miliardi di euro, pari al meno 11,25%.

 

 

“I risparmi accumulati sono stati utilizzati per compensare la mancanza di nuovi finanziamenti e per mantenere il potere d’acquisto in un contesto di prezzi in aumento. I nostri dati, andando più a fondo con l’analisi, mettono in luce un comportamento discutibile da parte delle banche e una politica monetaria della Banca centrale europea che solleva forti critiche. Le banche, approfittando dei tassi di interesse più alti, hanno aumentato il loro margine d’interesse, sfruttando la situazione a loro esclusivo vantaggio. Questa strategia, orientata al profitto a breve termine, ha ignorato deliberatamente gli effetti negativi sull’economia reale. L’aumento del costo dei finanziamenti ha infatti reso più difficile per le imprese ottenere il credito necessario per investire e crescere, e per le famiglie finanziare spese essenziali come l’acquisto di una casa o il consumo di beni durevoli. Le banche hanno preferito accumulare riserve piuttosto che sostenere l’economia, contribuendo a una contrazione del credito che ha soffocato la crescita economica e aumentato l’incertezza nel mercato. Questo comportamento opportunistico non solo danneggia l’economia, ma mina anche la fiducia dei consumatori e degli imprenditori nel sistema bancario. Parallelamente, la politica monetaria della Bce ha aggravato la situazione. L’aumento rapido e significativo del costo del denaro ha imposto ulteriori pressioni sui finanziamenti, aggravando le difficoltà per il settore privato. Il successivo taglio del tasso di interesse di 25 punti base deciso lo scorso 6 giugno, per quanto benvenuto, è risultato troppo piccolo e tardivo per invertire i danni già inflitti. La Bce ha dimostrato una mancanza di visione strategica, ignorando l’impatto delle sue decisioni sull’economia reale e agendo in modo reattivo anziché proattivo” ha commentato il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora.