Cresce il numero degli iscritti alla previdenza complementare arrivando a toccare a fine 2019 8,3 milioni, a +4% rispetto all’anno precedente, per un tasso di copertura del 31,4% sul totale delle forze di lavoro e le posizioni in essere sono 9,1 milioni (inclusive di posizioni doppie o multiple, che fanno capo allo stesso iscritto).
Fondi pensione: iscritti in prevalenza uomini
Così emerge dall’ultima Relazione annuale sull’attività svolta nel 2019 e sulla situazione dei settori di competenza della Covip, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione secondo cui gli iscritti ai PIP “nuovi” si attestano a 3,3 milioni, 3,1 milioni quelli ai fondi negoziali, oltre 1,5 milioni quelli ai fondi aperti e circa 600.000 quelli ai fondi preesistenti.
Gli uomini sono il 61,9% degli iscritti alla previdenza complementare (il 73,4% nei fondi negoziali), e la distribuzione per età vede la prevalenza delle classi intermedie e più prossime all’età di pensionamento: il 52,9% degli iscritti ha età compresa tra 35 e 54 anni, il 29,5% ha almeno 55 anni. Quanto all’area geografica, la maggior parte degli iscritti risiede nelle regioni del Nord (57%).
A fine 2019, le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari si attestano a 185 miliardi di euro, in aumento del 10,7% rispetto all’anno precedente: un ammontare pari al 10,4% del PIL e al 4,2% delle attività finanziarie delle famiglie italiane. 2 I contributi incassati nell’anno sono pari a 16,2 miliardi di euro: 5,3 miliardi ai fondi negoziali (+5,3%), 2,2 miliardi ai fondi aperti (+8,2%), 4,5 miliardi ai PIP nuovi (+4,9%) e 4,2 miliardi ai fondi preesistenti.
Mediamente ogni singolo iscritto versa contributi pari a 2700 euro all’anno e il 26,4% del totale degli iscritti alla previdenza complementare (circa 2,2 milioni) non ha effettuato contribuzioni nel 2019. La metà di essi (1,1 milioni di iscritti) non versa contributi da almeno quattro anni.
Rendimenti al top
Bene il lato rendimenti dice la Covip. Al netto dei costi di gestione e della fiscalità, i fondi pensione negoziali e i fondi aperti hanno guadagnato in media, rispettivamente, il 7,2% e l’8,3%; per i PIP “nuovi” di ramo III, il risultato è stato del 12,2%. Per le gestioni separate di ramo I, che contabilizzano le attività a costo storico e non a valori di mercato e i cui rendimenti dipendono in larga parte dal flusso cedolare incassato 3 sui titoli detenuti, il risultato è stato pari all’1,6%.
Nello stesso periodo il TFR si è rivalutato, al netto delle tasse, dell’1,5%. A livello di costi, i PIP restano i prodotti più onerosi: su un orizzonte temporale di dieci anni, l’Indicatore sintetico dei costi (ISC) è in media del 2,20% (1,88% per le gestioni separate di ramo I e 2,30% per le gestioni di ramo III), mentre si conferma la minore onerosità dei fondi pensione negoziali (0,40%) e dei fondi pensione aperti (1,35%).