L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di gennaio del mensile Wall Street Italia
di Michele Fanigliulo
Sono 32 i fondi, due milioni e 670 mila i lavoratori aderenti, oltre 47 miliardi di euro le risorse accumulate per le future prestazioni. Eppure le adesioni, se pur in incremento, proseguono a rilento. Quali le ragioni di questo ritardo
Non vi è dubbio che la situazione per la previdenza pubblica rimanga allarmante, e questo nonostante la riforma delle pensioni 2011 “lacrime e sangue” della Fornero. Il sistema previdenziale pesa per il 16% sul Pil italiano, secondo solo alla Grecia, e nel 2016 mostrava un buco da 87,3 miliardi di euro. A tanto ammonta il gap tra prestazioni erogate dall’Inps, pari a circa 308 miliardi, e gli oltre 220 miliardi di prestazioni versate.
Comprensibile dunque la risposta di Tito Boeri, presidente dell’Inps, a un eventuale blocco dell’età pensionabile proposto da diversi partiti in vista delle elezioni di marzo:
“Il blocco è qualcosa che va a interferire con gli automatismi che abbiamo introdotto nel nostro sistema e renderà i costi per le casse dello Stato insostenibili”.
E sempre Tito Boeri, alzando le mani, dichiara che
“prendere la differenza tra i contributi che l‘Inps riceve e le pensioni come una misura di insostenibilità è un modo sbagliato di vedere il problema. In prospettiva è necessario aumentare la platea dei lavoratori che pagano i contributi, anche alla luce del calo demografico”.
Le difficoltà della previdenza pubblica spiegano, almeno in parte, l’incremento delle masse gestite dai fondi pensione. Negli ultimi 3 anni gli iscritti a questi fondi sono cresciuti del 12%, un risultato positivo ma ancora al di sotto delle aspettative. Sono infatti poco più di 8 milioni gli italiani che godono di una forma di previdenza complementare, di cui il 33% presso i fondi pensione negoziali. I lavoratori iscritti ai fondi di categoria sono 2,6 milioni, segnando un incremento del 34% sul 2007 (anno da cui è stato possibile versare il Tfr nella previdenza complementare). Le risorse a disposizione dei 32 fondi pensione negoziali hanno raggiunto i 47,37 miliardi di euro e saranno utilizzate per erogare le prestazioni future.
Le ragioni delle scarse adesioni
Si tratta non tanto di un problema legato alle performance, quanto alla necessità di una maggiore educazione previdenziale e delle politiche governative a supporto. Non hanno poi giovato alcune novità normative degli ultimi anni. Tra queste le più importanti sono state l’incremento della tassazione sui rendimenti nel 2014 (dall’11% al 20%) e la possibilità del Tfr in busta paga per il triennio 2015-2018. Due decisioni che hanno dimostrato una certa sottovalutazione del legislatore sul tema del secondo pilastro.
Nel lungo periodo i fondi battono il Tfr
Sul breve periodo il confronto tra il rendimento medio dei fondi pensione negoziali e il tasso di rivalutazione del Tfr vede quest’ultimo vincitore. I fondi infatti nei primi sei mesi dello scorso anno hanno archiviato una performance piuttosto contenuta e pari allo 0,9%, contro 1,1% del Trattamento di fine rapporto. Ma è sul lungo periodo che i fondi negoziali scaldano i motori e mostrano i muscoli, anche perché l’adesione alla previdenza complementare presuppone proprio un’ottica di investimento a lungo termine. Sono interessanti, infatti, le performance 2008-2017: i fondi pensione hanno realizzato una performance complessiva del 36,5%, ben superiore a quella del tasso di rivalutazione del Tfr nello stesso periodo, fermatosi al 22,5 per cento. Più nello specifico, se analizziamo le performance dei singoli comparti i rendimenti più interessanti sono stati quelli dell’obbligazionario misto (+42,8%) e bilanciato (+40,4%). Ha reso meno del Tfr l’obbligazionario puro (+12,8%), mentre ha fatto poco meglio del Tfr il garantito (+28,5%).
Meno titoli di Stato in portafoglio
A quanto ammontano gli asset gestiti e come si sta modificando l’asset allocation dei fondi pensione negoziali? Dei 47,3 miliardi gestiti dai soci di Assofondipensioni, ben 21,7 sono investiti in titoli di Stato (il 45,9%), 9,7 miliardi in azioni (20,4%), 8,3 miliardi in altri titoli di debito (17,6%), 3,8 miliardi in quote di fondi ed ETF (8%), 3,4 miliardi in depositi bancari (7,2%), e 448,8 milioni in altre attività e passività (0,9%).
In futuro più accorpamenti tra fondi
Le normative introdotte nella Legge di Bilancio 2017 e dalla Legge sulla Concorrenza pongono attenzione alla necessità di raggiungere masse gestite di grande rilevanza nella previdenza complementare e dovrebbero portare a una più veloce fase di accorpamento tra i fondi. Maggiori masse gestite significa più spazi di manovra e diversificazione dei portafogli e migliore gestione del rischio. In questo modo infatti si sviluppano anche maggiori sinergie e si contengono i costi di transazione.