Economia

Previdenza complementare: si fa ancora troppo poco

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di Daniele Bussola, Area Tecnica Vita e Previdenza di Cattolica Assicurazioni (Gruppo Generali)

 

La ragione principale per cui alla previdenza obbligatoria viene affiancata la previdenza complementare risiede nel fatto che il tasso di sostituzione, il rapporto fra la prima annualità della pensione e l’ultimo reddito annuo prima della pensione, è sempre più basso. Nel tempo le nuove pensioni saranno sempre più basse rispetto all’ultima retribuzione percepita.

La modifica del nostro sistema pensionistico è partita negli anni ’90 e i motivi principali di questi cambiamenti sono stati: l’invecchiamento della popolazione, l’aumento della durata della vita media; il rallentamento della crescita economica e la mutata dinamica del mercato del lavoro. Il sistema pensionistico italiano, in seguito alle molteplici riforme succedutesi nel corso degli anni, si fonda ad oggi su tre fondamentali pilastri:

  • Primo pilastro: è costituito dalla previdenza pubblica obbligatoria, finanziata dai lavoratori e dai datori di lavoro durante tutto il corso della vita lavorativa. Con il passaggio dalle pensioni calcolate con il metodo retributivo a quelle calcolate con il metodo contributivo, la previdenza del primo pilastro non sarà più sufficiente per garantire il mantenimento del tenore di vita.
  • Secondo pilastro: è realizzato mediante i fondi pensione ai quali i lavoratori aderiscono in forma collettiva. I fondi pensione sono gestiti secondo il sistema della capitalizzazione, i contributi raccolti sono investiti al fine di generare un montante da convertire in rendita al momento del pensionamento, attraverso una gestione che non passa più attraverso lo Stato ma tramite gestori appositamente selezionati dai fondi.
  • Terzo pilastro: è rappresentato dalla previdenza integrativa individuale che ciascuno può realizzare, discrezionalmente, mediante forme di risparmio individuali con la finalità di integrare sia la previdenza pubblica sia quella realizzata in forma collettiva.

Le forme pensionistiche complementari costituiscono il secondo e il terzo pilastro della previdenza. Il loro scopo è quello di mantenere invariato il tenore di vita delle persone una volta cessata l’attività lavorativa.

Chi aderisce a una di queste forme acquista il diritto a ricevere una pensione complementare, che si aggiunge a quella obbligatoria. Aderire alla previdenza complementare significa accantonare regolarmente una parte dei risparmi durante la vita lavorativa per ottenere una pensione che si aggiunge a quella corrisposta dalla previdenza obbligatoria.

Le diverse tipologie di previdenza complementare

Le diverse tipologie di forma pensionistica complementare sono:

  • Fondi pensione chiusi: sono detti negoziali in quanto fondi costituiti sulla base di un accordo tra datore di lavoro e sindacati o associazioni di categoria. Sono forme pensionistiche complementari istituite dai rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro nell’ambito della contrattazione nazionale, di settore o aziendale.
  • Fondi pensione aperti: sono forme pensionistiche complementari istituite da banche, imprese di assicurazione, società di gestione del risparmio (sgr) e società di intermediazione mobiliare (sim).
  • Piani Individuali Pensionistici di tipo assicurativo (Pip): sono forme pensionistiche complementari istituite dalle imprese di assicurazione.
  • Fondi pensione preesistenti: sono forme pensionistiche così chiamate perché risultavano già istituite prima del Decreto Legislativo 124 del 1993 che ha disciplinato la previdenza complementare per la prima volta.

Gli iscritti alla previdenza complementare

Stando ai dati diffusi dalla COVIP e aggiornati a fine 2021 emerge che:

  • il totale degli iscritti alla previdenza complementare è di circa 8,7 milioni (+ 3,9% rispetto al 2020) per un tasso di adesione sul totale delle forze lavoro del 34,7%;
  • gli iscritti ai Pip “nuovi” si attestano a 3,4 milioni;
  • gli iscritti ai Pip “vecchi” sono 321.000;
  • gli aderenti ai fondi negoziali sono 3,3 milioni;
  • i sottoscrittori dei fondi aperti sono 1,7 milioni;
  • gli aderenti ai fondi preesistenti sono circa 622.000.

Il totale degli iscritti è di 8,7 milioni, ma coloro che sono attivi nei versamenti sono solamente 6,3 milioni, ovvero il 25,4% della forza lavoro. Se poi consideriamo che il 24,4% degli iscritti (circa 2,1 milioni di persone) versa meno di 1.000 euro la situazione reale si rivela ancor peggio di quanto si possa pensare. Analizzando le adesioni in base all’età degli iscritti emerge che:

  • solo il 17,8% ha meno di 35 anni;
  • il 50,3% ha un’età compresa tra i 35 e i 54 anni;
  • il 31,9% ha almeno 55 anni.

Questi dati confermano che chi oggi sta facendo qualcosa per il proprio futuro pensionistico spesso non sta facendo abbastanza e il continuo mancato interessamento dei giovani per la previdenza complementare.

Le percezioni dei lavoratori sulla pensione pubblica e la previdenza complementare

Tra ben 40 Paesi l’Italia ha la percentuale più alta di persone che non sono veramente informate pur pensando di esserlo. La situazione peggiora analizzando il livello di informazione sul sistema pensionistico complementare. I dati sono impietosi:

  • solo il 41% dichiara di essere molto/abbastanza informato. Percentuale che sale al 61% tra coloro che hanno aderito alla previdenza complementare, ma che scende drasticamente al 30% tra coloro che non hanno ancora aderito.
  • Il 59% dichiara di sapere poco/niente sulla previdenza complementare.
  • Tra coloro che non hanno aderito, la percentuale di chi dichiara di sapere poco/niente sale in modo preoccupante al 70%, praticamente uguale a quella del 2012 che era del 72%.

Invece, la percentuale di coloro che pensano di andare in pensione a 65 anni rimane, pur dimezzandosi, la più alta passando da meno del 30% a circa il 15%. La percentuale di coloro che ritengono che si andrà in pensione a 70 anni, invece, è più che raddoppiata. In 11 anni purtroppo sono raddoppiati anche coloro che non sanno a che età si andrà in pensione, oggi rappresentano il 28%.

Preoccupante anche il dato relativo al tenore di vita che i lavoratori pensano di mantenere quando andranno in pensione. Il 49% pensa che il tasso di sostituzione si assesterà fra il 60 e 80%. Una sovrastima fuori dalla realtà.

Le stime sulle future pensioni

La Ragioneria Generale dello Stato ha sviluppato delle stime elaborando degli scenari dei tassi di sostituzione nei decenni dal 2010 al 2070 per due diverse tipologie di lavoratori, i dipendenti e gli autonomi. In tutte le simulazioni effettuate i tassi di sostituzione si sono confermati poco confortanti:

  • i lavoratori dipendenti del settore privato nel 2010 sono andati in pensione per vecchiaia con il 68,4% dell’ultima retribuzione e nel 2020 con il 70%. Ma fino al 2050 la percentuale peggiorerà attestandosi al 65,6% nel 2030 e al 68,5% nel 2050 per poi salire al 70% nel 2070.
  • Per un lavoratore autonomo, invece, la riduzione del tasso di sostituzione risulterà più drastica. Nel 2010 il tasso era il 67,6%, nel 2020 il 53,1%. Nei prossimi anni scenderà al 44,4% nel 2030 per poi risalire, rimanendo comunque basso, al 49,3% nel 2050 e al 53% nel 2070.
Tassi di sostituzione
2010 2020 2030 2050 2070
Dipendente privato 68,4% 70,0% 65,6% 68,5% 70,0%
Lavoratore autonomo 67,6% 53,1% 44,4% 49,3% 53,0%

A questo va aggiunto, in base all’indagine campionaria Mefop, che tra i non aderenti la percentuale di coloro che non aderiranno si è abbassata notevolmente, ma rimane comunque elevata attestandosi al 35%.

Le intenzioni future dei non aderenti
2008 2012 2015 2019
Aderire 46% 51% 34% 36%
Non aderire 46% 43% 49% 35%
Non so / Altro 8% 6% 17% 30%

Tra le principali motivazioni della mancata adesione troviamo: l’impossibilità di risparmiare abbastanza, la convinzione di provvedere da soli investendo in modo alternativo, l’idea di essere ancora troppo giovani per pensarci e la mancanza di un lavoro stabile. Le indagini effettuate e le statistiche elaborate evidenziano il problema dei giovani che:

  • pensano alla pensione, ma ritengono di avere tempo per fronteggiare il problema;
  • non hanno soldi per aderire alla previdenza complementare;
  • sono precari;
  • sanno poco sui vantaggi, soprattutto fiscali.

I rischi per le nuove generazioni

Le nuove generazioni, inoltre, hanno scarsa consapevolezza dei rischi che corrono nel ritardare l’adesione a una forma di previdenza complementare. Con il metodo contributivo spostando avanti nel tempo l’ingresso si verseranno minori contributi e quindi si avrà un minor montante disponibile e minori contributi versati dal datore di lavoro. Inoltre, un italiano su quattro che versa nella previdenza integrativa:

  • si iscrive tardi;
  • versa poco e con un basso rischio;
  • alla fine preferisce avere un capitale.

Questi dati lasciano pochi dubbi, chi oggi sta facendo qualcosa per il proprio futuro pensionistico spesso non sta facendo abbastanza. Però, in tutte queste analisi e pubblicazioni di dati e statistiche si dimentica che il problema è anche un fatto culturale che arriva da lontano.

Fino a qualche anno fa, infatti, coloro che andavano in pensione non vedevano particolari differenze tra lo stipendio e la pensione e utilizzavano la liquidazione non per affrontare la vecchiaia (se non in parte), ma per estinguere il mutuo acceso anni prima, comperare l’appartamento al figlio o alla figlia che si sposava, cambiare macchina, ecc. Perciò anche i giovani:

  • erano e sono ancora in parte ancorati alla certezza non solo della pensione, ma di una pensione molto vicina all’importo dello stipendio percepito;
  • erano e sono convinti che anche loro ne trarranno benefico come i loro nonni e i loro genitori;
  • sono restii ad investire dei soldi per poi non poterne usufruire se non a rate.

Inoltre, come già detto, anche i giovani che vorrebbero tutelare la loro vecchia si trovano in difficoltà in quanto disoccupati, precari o con stipendi troppo bassi. Per invertire la rotta bisogna per forza investire in maggior informazione e creare lavoro, lavoro stabile per i giovani. Sono proprio i giovani la categoria su cui bisogna fare il maggior sforzo per evitare che paghino per gli errori commessi e i privilegi concessi in passato, oltre che per migliorare le loro aspettative.