Ormai abbiamo superato quota 2 euro, stando ai dati dell’Osservaprezzi del Ministero. Per mesi si è temuto che ci fosse dietro una manovra speculativa, e così anche l’anno scorso quando a marzo 2022 la soglia psicologica dei 2 euro era stata già superata abbondantemente a inizio mese. In realtà, per quanto si urli alla speculazione e al complotto, il prezzo della benzina è perfettamente trasparente.
Perché a comporlo non ci sono solo tasse e prezzo della componente energia, ma una serie di piccoli costi (anche di servizio) che incidono sul prezzo più di quanto si possa supporre. Anche perché, se le tasse vengono imposte dallo Stato, energia e costi di servizio sono disposti dal libero mercato e dalle varie agenzie, come vedremo in seguito.
Il prezzo della benzina è composto anche dal margine lordo
Quando si parla del prezzo della benzina, non ci si riferisce solo al classico binomio “tasse ed energia”. Oltre alla componente fiscale dell’IVA e delle Accise (58%), e alla componente energetica (42%), esiste un terzo elemento, non così noto come gli altri: il margine lordo. Ovvero quello che determina i guadagni di distributori, intermediari e venditori. Come riportato dall’ANSA (Sezione Motori), nella formazione del prezzo della benzina, il margine lordo “pesa” sulla componente energetica per quasi un 25%.
Il peso è dovuto all’innumerevole quantità di broker, intermediari petroliferi e operatori vari, tutti che applicano un proprio spread, una commissione di intermediazione per la rivendita al distributore. E anche per venire incontro agli oneri relativi ai passaggi della filiera dalla raffinazione alla distribuzione. Ad oggi il prezzo del margine incide sì il 25% sulla componente energia, ma complessivamente solo il 12%. Esso può aumentare a seconda degli operatori, e soprattutto nel caso in cui i costi di raffinazione aumentino.
Come segnala Repubblica, l’aumento dei costi della raffinazione può essere dettato anche dall’infelice scontro tra domanda e offerta, ovvero dal calo di impianti in zona a favore di un aumento dell’esportazione. Come sta accadendo in Europa da 10-15 anni, provocando così un aumento della domanda in particolare dall’Asia (Corea e India soprattutto), soprattutto a causa della guerra russo-ucraina. Ma, ripetiamo, nella composizione del prezzo della benzina il margine è contenuto: si stima che i gestori guadagnino solo 3,5 centesimi per ogni litro, massimo 5 centesimi per il servito. Solo la componente energia può pesare sul prezzo, e altresì le tasse.
Cosa incide davvero sul prezzo della benzina
Non è comunque sbagliata la vulgata in merito al fatto che esistano solo tasse ed energia a pesare davvero sul prezzo della benzina. Soprattutto in Italia, la parte fiscale, costituita da accise e Iva, in base ai dati odierni diffusi dal Ministero, pesa in totale per il 58,2% sul prezzo di un litro di benzina, e per il 51,1% sul gasolio. Questo per via delle numerose accise applicate sul prezzo della benzina dal 1936 ad oggi, fino a diventare strutturali dal 2012. Per quanto le varie motivazioni ad oggi non sussistono più (es. guerra in Etiopia del 1936 e Crisi di Suez del 1956), quelle cifre ancora compongono le accise, accompagnate dall’attuale IVA al 22%.
Toglierle significa allo Stato privarsi di quasi 25 miliardi di euro di entrate annue, mentre per l’automobilista sarebbero solo 30-40 centesimi in meno sul prezzo al litro. Sempre se nel mentre non aumenti il prezzo: nonostante il taglio delle accise del 2022, il rialzo dei prezzi coprì il taglio, e anzi lo sormontò. Questo perché la componente energia, ovvero il prezzo industriale, pesa il 42%. Tolto il margine lordo sopracitato, la materia prima occupa un terzo del prezzo ufficiale.
Infatti la materia prima subisce rincari su rincari prima di arrivare alla pompa di benzina. Se a prezzo industriale oggi risulta, secondo il Ministero, ben 908,7 euro ogni 1000 litri, tolto il margine lordo di 255 euro, si ottiene 653 euro di costo del prodotto. Su questa ultima voce influiscono diversi elementi, come il cambio euro/dollaro, visto che i prodotti raffinati sono quotati in dollari, poi il costo del petrolio greggio e quello dei noli marittimi. Come riporta Logibroker, i costi della trasformazione del petrolio portano circa a 0,31 euro il costo del nostro carburante. Se aggiungi anche i costi di trasporto (7 dollari a tonnellata) e i pedaggi, che alzano a 0,42 euro il prezzo del litro. E questo quando in partenza un barile (pari a 159 litri) costava attorno ai 44 dollari. Oggi ne costa 88,7 dollari, il doppio. Ma questo è per via dei mercati.
Il prezzo della benzina nel mercato libero
Come abbiamo visto, le tasse vengono imposte dallo Stato, mentre il margine lordo dai vari intermediari. Nel caso del prezzo della componente energia, questa è soggetta dagli sbalzi del mercato. La benzina subisce l’indicizzazione del prezzo da parte di tre indicatori internazionali:
- il West Texas Intermediate, per l’area statunitense,
- il Fateh, per l’area araba (Golfo Persico),
- il Brent, per l’area europea.
Quest’ultimo è quello che più influenza l’indicizzazione del greggio del Mare del Nord, appunto quello utilizzato come riferimento sul mercato europeo. Nella fase di convergenza tra domanda e offerta arriva Platts, l’agenzia che si rivolge a compagnie petrolifere, società di trading e banche d’affari. Alla fine la Platts fissa il valore effettivo dei prodotti raffinati, ossia il prezzo a cui le raffinerie possono vendere una tonnellata di benzina o di gasolio in un determinato giorno.
Questi tre indici subiscono l’andamento delle quotazioni di mercato, e a sua volta delle varie contingenze geopolitiche. Anche se il Brent raggiungesse i minimi annuali, come accaduto quanto era quota 80 dollari al barile, dopo un picco toccato a fine giugno a 122 dollari, se uno degli indici sbalza, il prezzo rischia di subire un aumento. Anche perché, come ricorda Repubblica, a stabilire i prezzi è soprattutto l’Opec+, il cartello dell’Arabia Saudita, a cui negli ultimi anni si è aggiunta la Russia. Non a caso, quando Arabia e Russia hanno segnalato un rallentamento nella produzione di greggio, il prezzo è aumentato. Non perché ci fosse una speculazione in atto, ma per equilibrare i mercati petroliferi, almeno da parte araba. Ovviamente, un taglio della produzione porterà l’offerta a ridursi, e ad aumentare i prezzi. E questo evento è accaduto 3 settimane fa, prima che la benzina arrivasse a 2 euro. Oggi invece tocca affidarsi a uno o più modi per risparmiare sul pieno, almeno fin quando le quotazioni non migliorano.