L’intervista di Roberto Maroni a il Riformista chiude la pausa di Ferragosto e riapre la discussione sulla politica economica. E’ tempo di preparare la manovra per il 2004 e bisogna prima compiere una scelta di fondo: l’intervento sulle pensioni deve essere o no inserito nella legge finanziaria? Non si tratta di una questione tecnica. Si confrontano oggi due linee politiche diverse. Spiega il ministro del Welfare: «Io credo che l’obiettivo di una riforma previdenziale sia nel medio e lungo periodo la sostenibilità finanziaria del sistema e l’equità intergenerazionale. Altri – come Tremonti, la Confindustria ed esponenti della maggioranza – pensano a una “riforma” per ridistribuire le risorse disponibili a favore del mondo delle imprese, magari con una Tremonti-ter o di qualche altro contributo a fondo perduto a scopo di assistenza o, peggio, di assistenzialismo».
Dunque, due linee politiche diverse. Di fronte alle quali, Maroni si appella a Silvio Berlusconi. «Quando le divisioni si accumulano – insiste – è necessario che il leader faccia la sintesi tra le varie posizioni».
Il ministro del Welfare ha il privilegio della chiarezza e dell’onestà, rivendicando alla Lega la difesa degli interessi dei suoi elettori, così come spetta a un qualsiasi partito politico. Anche An e l’Udc sostengono i loro ceti sociali di riferimento secondo la logica delle democrazie rappresentative (quindi non vogliono che a pagare siano soprattutto i dipendenti pubblici o il Mezzogiorno che vive di trasferimenti dello stato). Tremonti, spiega ancora Maroni, non ha partito. E Forza Italia? E’ una pura macchina elettorale che risponde solo a Berlusconi. Quanto ai suoi elettori, si presume che si identifichino con gli interessi personali del Cavaliere.
La «mediazione del leader», dunque, si presenta difficile sul piano della politica pura. Ancora di più su quello della politica economica. Tremonti insiste per inserire nella finanziaria non una riforma di medio-lungo periodo come vorrebbe Maroni, ma un taglio immediato alle prestazioni, allungando di un anno l’età pensionabile per recuperare, così, spazi in un bilancio pubblico praticamente ingessato. Dunque, una logica congiunturale contrapposta a una logica strutturale?
Noi non abbiamo nulla contro la logica congiunturale. Al contrario. Ci sembra che troppo spesso quando non si sa cosa dire né, tanto meno, cosa fare, si evochino le “riforme strutturali” come una giaculatoria politicamente corretta (un tempo c’era la programmazione, poi il “nuovo modello di sviluppo”). Tremonti sta dando fondo a tutte le risorse di finanza creativa che gli sono rimaste a disposizione, ma ormai siamo all’osso. Per ben due anni si è illuso che il ciclo economico italiano ripartisse trainato dalla locomotiva Usa. Gli Stati Uniti stanno crescendo, ma in modo incerto e asfittico (un tasso del 2,4%, ricorda Alan Greenspan, è quasi stagnazione per il sistema economico Usa). La Gran Bretagna batte la fiacca. Quanto a Eurolandia sta attraversando una fase di recessione.
Il ministro dell’Economia, dunque, dovrà estrarre il suo coniglio dal cappello. Gli investimenti per le infrastrutture sono di là da venire e in ogni caso non sono più un acceleratore come un tempo. Quote e dazi contro la Cina, giusti o sbagliati, non rappresentano in alcun modo quel kick di cui la congiuntura ha bisogno. Alcuni economisti stanno cominciando a ragionare in termini di stimoli immediati ai consumi. Lo ha spiegato Innocenzo Cipolletta su il Riformista di mercoledì 20 agosto. E Giacomo Vaciago su La Stampa di giovedì 21 invita a non illudersi che siano gli Stati Uniti a darci la spinta risolutiva. E incita i governi europei a mettere all’ordine del giorno il rilancio della congiuntura.
Che fare, allora? Maroni ha ragione: le pensioni vanno affrontate per quel che sono, nella loro natura, cioè un problema di medio periodo. E come fa Tremonti a trovare le risorse per il rilancio? L’Italia da sola non può farcela, è evidente. Spetta all’Ecofin (del quale il ministro italiano è presidente fino a dicembre) concordare una manovra di sostegno ai consumi e agli investimenti nell’Eurolandia. Una politica economica a breve coordinata che tenga conto a sua volta della linea che l’amministrazione Bush sta seguendo, con il taglio dei tassi e delle tasse, l’espansione del bilancio federale, un forte disavanzo estero (mentre la bilancia commerciale della Ue è ancora ampiamente in attivo). E il patto di stabilità? E’ ridicolo che, in piena recessione, Pedro Solbes voglia multare la Germania perché ha sfondato il 3% nel disavanzo pubblico rispetto al Pil. Piuttosto è meglio chiedersi se, nel momento in cui gli Stati Uniti hanno un deficit del 6%, la regola del 3 abbia ancora senso.
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