Roma – Ora la vera paura è che domenica esploda un gran caos ai seggi, perché con oltre 6 milioni di persone incollate l’altra sera in tv non sarebbe strano se arrivassero entro stasera 200 mila richieste di nuove iscrizioni: che verranno quasi tutte cestinate perché «chi può giustificare di non aver avuto tempo di registrarsi on line nei 21 giorni precedenti al primo turno?».
Molti potrebbero però non demordere ed ecco profilarsi lo spettro di file ai gazebo di aspiranti elettori infuriati per esser rimandati indietro e l’immagine vincente del Pd che va in frantumi.
«Devono stare tutti più tranquilli. Ora bisogna chiudere la partita e andare a vincere, evitando di litigare con Matteo che va tenuto dentro la “ditta” perché è una risorsa. Ma se qualcuno pensa di usare questa storia per sporcare le primarie, indebolirmi e frenare la mia corsa verso Palazzo Chigi, si sbaglia di grosso». Nella stanza dei bottoni, l’input che il leader trasmette ai suoi è di questo tenore e il motivo per cui anche lui ha firmato l’esposto ai garanti non è di escludere Renzi dalla gara, ma un cartellino giallo ad uso preventivo.
Della serie, tu hai violato le regole, non accusare poi noi di farlo. E infatti Bersani dice che dal ricorso non verrà «nessuna conseguenza sul voto di domenica». Ma se c’è una preoccupazione, quella non riveste tanto le intenzioni di «Matteo, lui tiene alta questa polemica per motivare i suoi ad andare a votare», quanto quelle di chi può avere un tornaconto a cavalcarla per «sfregiare» un evento che sta facendo lievitare i consensi del centrosinistra.
Non passano inosservati i movimenti di chi nel centrodestra vorrebbe tirare Renzi da quella parte o di un pezzo di establishment che può avere interesse a fiaccare la corsa di Bersani verso la premiership. Piuttosto se c’è una preoccupazione reale dei suoi in queste ore è che «bisogna lavorare sodo per convincere gli elettori di Vendola e per riportare a votare tutti quelli che al primo turno hanno votato il segretario, cosa non semplice».
Per questo è stato inviato un sms di richiamo ai 5-6 mila comitati sparsi per il territorio, chiedendo di avvisare uno ad uno il milione e trecentomila elettori del segretario. Con la convinzione che anche se la tensione salirà, «sabato magari grideranno che sono arrivate 200 mila mail e solo mille richieste saranno ammesse, ma tutto finirà il giorno dopo la vittoria di Bersani». Perché alle mail tipo già visionate nella stanza dei bottoni, che riportano tutte la motivazione «per motivi indipendenti alla mia volontà non sono potuto venire», la risposta già pronta è: «perché nei 21 giorni a disposizione non ti sei iscritto on line?».
L’aria si fa torbida e i sospetti si sprecano tra le tifoserie. Che però sono molto più scatenate dei loro leader. Il terrore che sfibra le correnti è quello di un Renzi ormai lanciato verso la segreteria del Pd da un Bersani che pensa solo a Palazzo Chigi: e poco importa se l’interessato non ci pensa proprio e lo va dicendo in pubblico e in privato da settimane.
Il fantasma di un tacito patto che stravolga gli equilibri della «ditta» volteggia nei corridoi: anche se Bersani ripete che «con Renzi non apriamo tavoli o tavolini e dopo le primarie chi perde continua a fare il suo mestiere fino a scadenza». Ma il sospetto che ricorre tra i peones del Pd è che Renzi voglia far saltare tutto per poi correre in proprio con una sua lista. E dal Nazareno, la risposta dei bersaniani doc è che «il ragazzo non è stupido e sa che qui dentro conta, fuori invece non conterebbe più nulla…». Tradotto, chi evoca una fuoriuscita di Matteo forse se la augura, temendo di non trovare posto nelle liste quando Renzi avrà titolo per piazzare molti dei suoi in Parlamento.
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