di Benedetta Gandolfi
Tra gli effetti della Mifid2 ancora da studiare a fondo c’è quello legato al reclutamento dei consulenti da altre reti. La nuova direttiva obbliga gli intermediari ad “agire nel miglior interesse dei clienti” evitando di remunerare e incentivare il personale secondo modalità incompatibili con questo principio. Lo dice l’art. 93 comma 1 del nuovo Regolamento Intermediari appena pubblicato nella Gazzetta Ufficiale (delibera Consob n.20307
del 15/02/2018). L’articolo affronta il tema della remunerazione e incentivazione del personale in relazione ai conflitti di interessi emergenti da una loro non corretta applicazione, abrogando quello precedente del 2007 (n.16190). Tanto che il comma 2 dello stesso articolo ribadisce: “ai fini del comma 1, gli intermediari non devono adottare disposizioni in materia di remunerazione, target di vendita o d’altro tipo che potrebbero incentivare il personale a raccomandare ai clienti al dettaglio un particolare strumento finanziario, se può essere offerto uno strumento differente, più adatto alle esigenze del cliente”.
Peccato che la realtà non sia così. Quella che il mondo degli investimenti si prepara a vivere è inevitabilmente una fase di grande competizione e di cambi di casacca, da parte dei consulenti, alla ricerca delle migliori remunerazioni.
La direttiva europea, del resto, andrà a erodere i margini di rendimento di banche e consulenti e quindi la realtà più aggressiva in termini di pricing avrà la meglio. Non sarà così per tutti, certo, ma per molti sì. “Alcuni strumenti e prodotti finanziari non potranno essere spinti più di altri come in passato, ma l’elemento a mio avviso di maggiore impatto e conseguenza di questo sembra sfuggire ai più (o passare sotto silenzio), e riguarda le modalità di ingaggio dei consulenti dalla concorrenza”, commenta Marcello Agnello, direttore commerciale di Assiteca sim.
Consulenti che cambiano casacca. Va detto che la prassi adottata dal mercato e da quasi tutti gli intermediari bancari o finanziari è che, in caso di passaggio da un posto di lavoro all’altro, a seconda del portafoglio controllato al consulente veniva pagato un bonus sulle masse apportate, tanto più alto quanto più erano gli asset affidati dai clienti.
Ed è qui che entrano in gioco le realtà più aggressive (quasi sempre le reti di consulenti finanziari) dove si è arrivati a pagare premi pari anche al 3,5% su portafogli di alcune decine di milioni di euro. Rompendo di fatto la concorrenza.
“Va da sé che le mandanti, non facendo beneficenza, normalmente legavano quel bonus a due condizioni: l’allocazione delle masse dei clienti su alcuni prodotti più costosi rispetto ad altri (con tanto di descrizione che li esplicitava per fasce) e un patto di stabilità o permanenza all’interno della mandante stessa (normalmente di tre o cinque anni, con punte di sette)”, dice Agnello.
Della regola del 3% ne parla anche una ricerca di Mediobanca. A private banker e consulenti finanziari le mandanti applicano strumenti di fidelizzazione come il patto di non concorrenza, in cambio del quale il professionista riceve un’indennità o bonus che si aggiunge alla retribuzione annua lorda con un’erogazione dilazionata nel tempo per contrastare il cambio di casacca, incentivato dai premi di ingaggio che sono tornati al 3% delle masse gestite portate. Si stima infatti che un consulente finanziario proveniente da una rete riesca a convincere fino al 90% dei suoi clienti a seguirlo, mentre un professionista bancario difficilmente riesce a convincere più di un terzo della clientela a trasferirsi insieme a lui. Inoltre, se i patrimoni trasferiti sono composti in maggior misura di prodotti assicurativi o del risparmio gestito, varranno di più che non se si tratti di risparmio amministrato.
Cambiano le politiche di incentivazione. Le politiche di incentivazione di alcuni prodotti rispetto ad altri non sono più possibili. Il conflitto che ne nascerebbe sarebbe infatti palese, essendo i soggetti indotti a “favorire i propri interessi o gli interessi dell’impresa, a potenziale discapito di un cliente”.
Se quindi queste prassi retributive sono destinate a cessare, non finirà invece l’incentivo economico al cambiamento di casacca da un intermediario all’altro. Il passaggio dovrà tuttavia essere rimodulato tenendo in considerazione, ad esempio, l’apporto indistinto delle masse e non già la loro distribuzione interna. Conclude Agnello: “L’ulteriore conseguenza però è che, in ragione di questo, i bonus oltre a cambiare forma si ridurranno anche.
Nella consulenza non indipendente, collegata cioè alla distribuzione di prodotti di casa e di società terze, le retrocessioni sono differenti a seconda del prodotto collocato al cliente: e per evitare perdite gli intermediari dovranno spostare l’asticella a un livello più basso, ammortizzando o anestetizzando così allocazioni di portafoglio meno remunerative per il conto economico aziendale”.
Chi recluta. Fideuram, Azimut, il Banco Desio che ha dato il via a una nuova rete di consulenti, Crédit Agricole, Credem, Allianz. Sono le società che hanno già annunciato una massiccia campagna di reclutamenti per i prossimi mesi.
I premi di ingaggio sono da leggere come operazioni di marketing: portare presso di sè certe figure può essere strategico. Al di là delle masse del cliente, trattasi di vantaggio reputazionale. “Azimut, Allianz, Bnl life banker, Banca Generali e quelli che hanno creato le divisioni private come Mediobanca sono i più aggressivi”, dice Marco Mazzoni, presidente di Magstat. E aggiunge: “Il 2017 per le reti è stato il migliore anno della storia, a causa della crisi del mondo bancario. Le reti hanno bilanci perfetti, non hanno crediti deteriorati quindi ora sono più ambite delle banche. E le reti fanno reddittività con le politiche di reclutamento, tanto che reclutano anche dal mondo affluent”. Per Mario Ruta, direttore commerciale di Allianz Bank, “il reclutamento rimane un motore di crescita importante.
È prevedibile, tuttavia, che l’entrata in vigore della Mifid2, e in particolare dei requisiti in tema di product governance, porterà a una compressione dei margini, almeno nel breve periodo, che sarà compensata da una crescita delle masse nel lungo termine. Ciò comporterà un aumento della focalizzazione sulla conduzione commerciale e sulla crescita dall’interno; a questo fenomeno si affiancherà una revisione del processo di reclutamento, interessandolo a un doppio livello.
Da un lato ritengo che il settore si interfaccerà con una modifica sostanziale dell’offerta economica di reclutamento e sarà coinvolto nella sua interezza. Dall’altro lato, il profilo dei consulenti da inserire nella rete sarà sempre più alto, proiettando la ricerca verso professionisti del segmento private e wealth”.
Dice Moris Franzoni, direttore commerciale rete consulenti del Credem: “Il nostro modello di business sembra fatto apposta per minimizzare gli impatti sulle remunerazioni dei consulenti. La pluralità dei business collaterali al wealth management e l’approccio consulenziale a 360° sono il miglior biglietto da visita per chi vuole prendere in considerazione un cambio di casacca, soprattutto per chi sta subendo alcune logiche gestionali fatte più su criteri quantitativi che qualitativi”.
Politiche di ingaggio. Secondo Franzoni “l’industria del wealth management anche nel primo trimestre dell’anno sta proseguendo il suo cammino a piena velocità. Quindi verrebbe da dire che le politiche di ingaggio sono per ora impermeabili all’effetto Mifid2. In realtà i business plan sono purtroppo, o per fortuna, basati su formule matematiche e dovremo capire che in ambito reclutamento non saranno presumibilmente sostenibili, nel medio periodo, economics troppo alti. Fatto salvo situazioni che rivestano particolare interesse, tali per cui anche un reclutamento costoso è ritenuto strategico per diverse motivazioni”.
Per Mazzoni “il mondo del recruiting resta vivo perché il risiko bancario in atto crea malcontenti all’interno. E si stanno muovendo tutti sul mondo del wealth management”.
L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di aprile del magazine Wall Street Italia