La tecnologia è un fattore indispensabile per i banker e deve essere affiancata alla professionalità, quella che determina il valore aggiunto per il cliente
Big data, blockchain, Api, roboadvisor. La tecnologia abilita nuove modalità operative e l’intero settore finanziario è in grande effervescenza. Con tanto di alleanze col mondo fintech, come quella di JPMorganChase che sta lavorando a una profilazione dei clienti sul modello di Amazon (grazie all’alleanza con Intuit) per usare i suoi dati creando così nuovi servizi su misura. Una cosa è certa: l’innovazione corre veloce e le banche si devono adeguare oltre a saper riconquistare la fiducia con servizi personalizzati, sia che si tratti di grandi portafogli, sia di piccoli. Ecco perché il termine private, oggi, è molto abusato.
In Europa negli ultimi anni si stanno osservando due tendenze chiare: da una parte le grandi banche generaliste che hanno scoperto il potenziale del segmento private e che puntano sulle economie di scala combinando la tradizionale attività di wealth management con prodotti e servizi legati ai mutui e ai finanziamenti oltre che servizi bancari classici, dall’altra i player che si focalizzano sull’attività pura di wealth management, sulla consulenza a tutto tondo anche usando competenze di terze parti e sulla relazione con il cliente che diventa centrale in tutti i processi che regolano la attività aziendale, dal back office al front office. La tecnologia assume un ruolo di rilievo visto che secondo le stime più recenti circa il 50% della ricchezza globale nei prossimi 5 anni passerà dai baby boomers alle generazioni successive, più smart con i nuovi mezzi di comunicazione.
La professionalità non esclude la tecnologia
“In un contesto così erratico bisogna ripensare profondamente il ruolo stesso del private banker e tornare all’aspetto professionale e consulenziale che aveva un tempo il nostro mestiere”, dice Alberto Albertini, ad di Banca Albertini Syz. La professionalità dunque è ciò che crea il valore aggiunto e che giustifica un’adeguata remunerazione del servizio. Ma da sola non basta, occorre accompagnarla con la tecnologia.
“Consideriamo, ad esempio, la profilazione. Anche se per scopi diversi è ciò che da tempo fa in via automatica Amazon (proponendo, senza che ce ne accorgiamo, l’acquisto di ciò che i loro invisibili sistemi di ricognizione dei nostri gusti segnalano come di nostro possibile interesse).
L’affinamento di queste tecniche può essere di grande aiuto nella profilazione finanziaria dell’individuo ed è a sua volta funzionale a sviluppi che arrivano all’intelligenza artificiale, di cui gli attuali roboadvisor sono una prima, per ora molto approssimativa e limitata, espressione. In molti altri aspetti le tecnologie informatiche potranno aiutare lo sviluppo di un nuovo modello: dall’individuazione di nuove metodologie di investimento, alla facilitazione del rapporto bidirezionale fra chi offre il servizio e chi lo riceve, all’efficienza dei passaggi operativi e del loro controllo. Quello che è certo è che se l’uomo ha bisogno della tecnologia, la tecnologia ha bisogno dell’uomo. Il software (algoritmi e app) almeno per ora, lo disegna l’uomo ed è attraverso la sua intuizione che si trovano vie nuove anche in mestiere apparente arido quale è il private banking”, continua Albertini.
Capire i bisogni dei clienti
La corretta individuazione dei bisogni/attese del cliente consente di realizzare un passaggio fondamentale per chi offre servizi di private banking: da un modello oggi basato essenzialmente sull’offerta di prodotti di investimento (product driven) è opportuno passare a un modello basato sull’offerta di soluzioni (solution driven), dove l’individuazione di un prodotto di investimento è solo una fra le diverse componenti di un più ampio servizio di consulenza professionale.
Secondo Albertini “la consulenza deve andare oltre quella puramente finanziaria legata agli investimenti, arrivando ad abbracciare, sulla base di una più precisa conoscenza del cliente, tutte le tematiche che interessano il rapporto fra il patrimonio, la famiglia e, nel caso dell’imprenditore, l’impresa. Il tutto calato nella complessità delle normative (fiscali, successorie o di altro genere) che condizionano il rapporto tra la ricchezza e chi la possiede. La cosiddetta profilazione del cliente, oggi imposta dalla normativa e pertanto spesso vissuta come un fastidioso obbligo e non come un utile strumento, è in realtà il momento chiave del rapporto col cliente. La sua corretta formulazione iniziale, ma soprattutto il suo costante aggiornamento richiede un’elevata professionalità su cui occorre investire”. Per questi motivi le banche private sono orientate verso questo tipo di servizio.
L’articolo è stato pubblicato integralmente sul numero di aprile del magazine Wall Street Italia