L’articolo completo è stato pubblicato sul numero di giugno del mensile Wall Street Italia
Sono tante le sfide all’orizzonte per il private banking. A preoccupare di più è il confronto con le nuove normative, come la Mifid2, mentre i robo advisor non fanno paura
Gli investitori sono disorientati, anche quelli dai grandi portafogli. Mentre l’industria che quei soldi li gestisce è in piena crisi di identità. Vede la reddittività ridursi, teme che le nuove regolamentazioni in arrivo finiscano per portare ulteriore pressione sui margini e cerca di gestire la concorrenza che arriva dai roboadvisor. Sebbene ci sia una grande differenza tra i colossi private internazionali e quelli domestici, sia in termini di masse sia di presenza geografica e di organizzazione interna, l’intera industria del private banking è in una fase interlocutoria, oltre che di consolidamento. A testimoniare questo scenario è la 14esima indagine annuale della società Euromoney sul mondo del private a livello globale e con un focus sull’Italia. Secondo la ricerca in questione, mentre il 73% dei partecipanti (ovvero i Ceo delle principali banche private) prevedeva maggiori ricavi nel 2016, quest’anno solo il 67% è positivo. Un quinto degli intervistati prevede che i ricavi restino piatti.
I dubbi dei banchieri
A preoccupare di più l’industria sono le modifiche normative, in primis la Mifid2. Circa il 39% degli intervistati ha definito la regolamentazione come la più grande sfida per il 2017 e per gli anni a venire. E nonostante la concorrenza che arriva dai robo advisor, solo il 6% degli intervistati teme il fintech. Nel corso dell’anno, poi, si è verificato un leggero aumento delle preoccupazioni circa le tensioni geopolitiche ma ciò non impedisce i piani di espansione degli istituti di credito. I banker citano la Cina, l’America del Nord e l’Asia sudorientale come le tre regioni top dove i loro clienti intendono investire da oggi in avanti.
Parlando a Euromoney, il presidente di Ubs Wealth Management Jürg Zeltner, sulle opportunità per i gestori di patrimoni e su dove andranno le banche private nel 2017 ha detto: “L’intera industria della gestione dei portafogli sta affrontando una fase molto delicata e competitiva. Non possiamo che assegnare sempre maggiori risorse al mondo della tecnologia, dei servizi e dei team di consulenti per far crescere il nostro business. Occorre essere molto disciplinati e convinti della direzione degli investimenti. La gestione di alpha sarà il fattore che farà la differenza tra le banche private negli anni a venire”. Ed ecco che il 51% degli intervistati ha in mente di far crescere il numero di financial advisor mentre il 4% delle banche ha deciso di investire in tema di cyber security. Sta di fatto che gli istituti di credito si stanno concentrando sull’ampliamento delle divisioni private perché, comunque sia, è quello il luogo dove si produce ancora reddito.
Su scala globale, a temere di più il futuro sono i paperoni italiani
Secondo la banca d’affari svizzera Ubs, nel suo primo Investor Watch condotto in Italia, l’83% dei milionari intervistati ritiene che “ci troviamo nel periodo più imprevedibile della storia”. Ma, se a livello internazionale l’Ubs Confidence Index indica che il numero di milionari ottimisti sul proprio futuro e sul mondo supera quello di chi ha un atteggiamento pessimista, in Italia si registrano i livelli più bassi di fiducia con solo il 37% dei milionari italiani che si definisce ottimista e fiducioso sul futuro (il 19% si dice addirittura pessimista, il resto non prevede un cambiamento). E, si legge nell’Investor Watch, i primi a creare incertezza sono i media.
Nell’era delle notizie pubblicate praticamente in tempo reale, prima di assumere decisioni i milionari consultano un’ampia gamma di fonti di informazione. In Italia, tuttavia, il valore di queste fonti desta qualche preoccupazione. Quando si tratta di prendere decisioni importanti, i principali media online si confermano la fonte di informazioni di maggiore affidabilità per i milionari italiani. In generale, gli Hnwi italiani si fidano dei giornali (quasi il 60%) e della televisione (poco più della metà) ma sono più scettici nei confronti di entrambi i media rispetto agli individui di altri Paesi. Troppe informazioni possono anche ostacolare l’assunzione di decisioni: il 64% degli italiani facoltosi sostiene di soffrire di eccesso d’informazione. L’indagine a livello globale ha interessato 2.842 milionari residenti in sette diversi mercati (Hong Kong, Giappone, Singapore, Messico, Svizzera, Regno Unito e appunto Italia); dal Belpaese ha risposto un gruppo composto da 401 super ricchi. Un grande elemento di incertezza è rappresentato dalla politica. Secondo i milionari locali, l’instabilità che contraddistingue le vicende politiche di casa preoccupa molto. Inoltre, l’80% degli intervistati crede che le emozioni riescano a condizionare l’opinione pubblica più dei fatti. È forse per questo motivo che quasi tre quarti degli italiani facoltosi ritengono che i governi eletti siano in grado di affrontare solo i rischi di breve periodo.
In ambito internazionale, i milionari in Italia sono divisi nei confronti dell’Unione Europea: il 53% è pessimista circa le sue prospettive a lungo termine, contro una minoranza di ottimisti. Nel lungo periodo, i rischi economici, finanziari e ambientali sono visti come le più grandi fonti di preoccupazione per gli individui facoltosi italiani, come per quelli di altri Paesi. Tuttavia, per le donne in Italia i rischi ambientali, come i terremoti e il cambiamento climatico, si piazzano al primo posto, sia nel breve che nel lungo termine.
Nel breve periodo, i rischi sociali quali disordini e manifestazioni preoccupano in modo particolare più di un terzo dei milionari italiani. Per quanto riguarda la situazione nazionale, il 50% degli intervistati vede nella disoccupazione giovanile una grande fonte di incertezza. Secondo gli individui facoltosi in Italia, la logica del breve termine è un problema che colpisce allo stesso modo anche le imprese. Lamentano infatti di come le aziende, sia private sia pubbliche, si concentrino troppo sul breve periodo, ignorando le sfide di lungo termine. Azionisti e investitori sono considerati ugualmente responsabili dall’83% degli intervistati.
Il top delle banche private
Secondo la 14esima edizione dell’indagine annuale della società Euromoney sul mondo del private, di cui Wall Street Italia è venuto in possesso, in cima alla lista delle migliori banche private in Italia ci sono Ubs Wealth Management, JPMorgan, Intesa Sanpaolo, Pictet, Bnl-Bnp Paribas, Crédit Suisse, Kairos, Deutsche Bank, Banca Aletti e Schroders. Segue anche Santander. Sono dunque solo tre quelle che fanno riferimento a gruppi italiani.
Goldman Sachs ha mantenuto la sua posizione di migliore banca privata globale per le capacità di investment banking mentre Citi ha sostituito Hsbc come migliore banca privata dal punto di vista delle capacità commerciali. JPMorgan si è sostituita a BlackRock come migliore banca privata a livello globale per la gestione degli asset e ha preso il posto di Ubs come migliore gruppo per la ricerca e la consulenza in materia di asset allocation.
A livello regionale, nell’Europa occidentale, Pictet, Abn Amro e Julius Baer sono tra i primi dieci posti. Raiffeisen Bank International ha compiuto notevoli passi avanti in molte categorie in tutta l’Europa centrale e orientale, diventando la migliore banca privata e la migliore per la gestione patrimoniale. JPMorgan è il numero uno in classifica in Nord America e America Latina. Wells Fargo e Citi hanno fatto progressi anche nella top ten delle società Usa. Nelle categorie che guardano all’innovazione, Ubs, Citi e Crédit Suisse si collocano ai primi tre posti quanto alla client experience e ai sistemi di back office. Una gara difficile che si gioca su un terreno sempre più internazionale e competitivo. E dove i banker più blasonati vanno letteralmente a ruba. A suon di compensi stellari, in relazione ai loro portafogli.
L’articolo completo è stato pubblicato sul numero di giugno del mensile Wall Street Italia