Il settore del private equity in Italia sta vivendo un trend globalmente di espansione da anni, in linea con una tendenza di crescita europea.
Tale trend aveva subito rallentamenti nel post-pandemia (dopo aver registrato dei record), ma il mercato è tornato molto vitale nel 2024, con una crescita rispetto al 2023 sia nella raccolta sia negli investimenti e disinvestimenti. Vi è stata un’incidenza importante di deal di grandi dimensioni, con rialzo del valore medio, e si è continuato a registrare un ruolo imprescindibile degli operatori internazionali.
Si tratta di dati molto positivi, non solo per il settore considerato di per sé e in via indipendente, ma anche nella prospettiva di come tale settore rifletta (e valorizzi dando fiducia a) una sottostante “salute” e attrattività dell’economia italiana in generale. Queste dipendono da molti fattori, ma volendone sintetizzare solo alcuni, troviamo innanzitutto l’ambiente macroeconomico globale, dove nel 2024 evidentemente diverse preoccupazioni del 2023 si sono allentate o normalizzate e si è registrata maggiore stabilità e prevedibilità – nel mondo e senza eccezioni in Italia. Tassi di interesse più bassi, unitamente all’incontro tra esigenze di liquidità dei venditori ed esigenze di investire la liquidità disponibile da parte dei fondi, hanno fatto il resto spingendo al rialzo i volumi.
Le imprese che piacciono ai fondi di private equity.
Non si può parlare di operazioni straordinarie in assenza di imprese target di interesse. Queste, tuttavia, non mancano mai nel nostro Paese, incluso nei settori che hanno maggiormente contribuito ai numeri complessivi del mercato (si pensi all’Ict, medicale e comparto industriale). Se si riflette sulle “classiche” direttrici di sviluppo alle quali guardano gli operatori di private equity, l’Italia ha moltissime imprese sì di successo, ma che possono beneficiare anche di un’espansione geografica, di idee innovative generate da managerializzazione rispetto a modelli gestionali familiari, di consolidamento e/o diversificazione per raggiungere una portata più competitiva con operatori internazionali. I fondi di private equity guardano con attenzione a queste realtà, dove è possibile sbloccare linee di crescita altrimenti più difficili da coltivare (o che richiederebbero tempi molto più lunghi), con ciò favorendo una rapida generazione di valore.
Evidentemente, però, lo fanno anche i proprietari-venditori. Sotto quest’ultimo profilo, per molto tempo si è parlato – forse in parte lo si fa ancora – di una certa diffidenza di parte del mondo imprenditoriale verso investitori finanziari, per vari motivi, tra cui il ricorso all’indebitamento, percepito come rischioso, orizzonti di investimento di medio e non di lungo periodo, che potrebbero portare disallineamenti di interessi, e ingerenze nella gestione, con perdita o comunque diminuzione di indipendenza.
Tutto questo senza scomodare, naturalmente, le note posizioni provocatorie di Warren Buffett, che in passato ha mosso qualche accusa all’effettiva qualità dell’offerta dei fondi di private equity.
Tuttavia, come dimostrato da studi svolti da associazioni di settore, le imprese oggetto di investimento da parte di fondi sovente registrano performance migliori in diverse aree, tra cui crescita occupazionale, internazionalizzazione e sviluppo verso un migliore posizionamento da un punto di vista ESG, con adozione di modelli organizzativi, codici etici e presidi industriali e strategici per assicurare maggiore sicurezza e minore impatto ambientale. Tutti questi sono segnali concreti di un impatto positivo degli operatori di private equity, e fanno comprendere alle imprese come i fondi possano davvero contribuire alla crescita.
Ove continuasse a esserci un quadro macroeconomico favorevole, non ci sarebbe motivo di ritenere che il settore del private equity non possa continuare nella sua espansione di successo e ad avere impatti positivi sull’economia reale italiana.
L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di dicembre del magazine Wall Street Italia. Clicca qui per abbonarti.