di Fabrizio Guidoni
Questa la cifra investita in private equity da investitori individuali e family office dal 2013. Con uno scatto nel primo semestre 2018 che li ha portati a essere leader nella raccolta
Ben 1.330 milioni di euro. O, se preferite, 1,33 miliardi di euro. È l’ammontare investito in Italia da investitori individuali e family office nel periodo dal 2013 al 30 giugno 2018 in private equity – quindi in sostanza in economia reale – secondo quanto calcolato da Aifi-Pwc appositamente per questa inchiesta di Wall Street Italia.
Una cifra destinata a crescere ulteriormente visto che il dato relativo alla raccolta da questa classe di investitori nei soli primi sei mesi del 2018 supera i 211 milioni di euro.
“Guardando i dati sulla raccolta, se consideriamo soltanto i soggetti privati, la prima fonte sono gli investitori individuali e family office, che rappresentano il 17%, seguiti dai fondi pensione con un contributo del 16%”
conferma Innocenzo Cipolletta (nella foto) presidente Aifi (Associazione italiana private equity, venture capital e private debt) nel presentare le statistiche relative al primo semestre del 2018.
La leadership nei confronti di altri pesi massimi della finanza italiana come fondi pensione e banche (vedi tabella) dimostra, tra le altre cose, la sempre maggiore sensibilità degli investitori privati evoluti verso questa forma di investimento alternativo che punta sui rendimenti di un’asset class che investe sull’economia reale italiana.
Ritorni che negli anni si sono dimostrati interessanti ma anche decorrelati all’andamento dei mercati finanziari. La raccolta presso gli investitori individuali e family office si confronta con una raccolta complessiva da parte dei private equity (sul mercato e captive, cioè proveniente dalla casa madre) pari a 1,9 miliardi di euro, in crescita del 55% rispetto al primo semestre del 2017. Ma attenzione. Escludendo l’attività dei soggetti istituzionali, la raccolta degli operatori privati è stata pari a 1,3 miliardi, contro i 453 milioni registrati nel primo semestre del 2017. Un numero che esalta ancora di più i 211,38 milioni messi a disposizione dai clienti del private banking e dei family office, che sono spesso imprenditori o provengono da famiglie che hanno aziende.
Imprenditori che puntano su imprenditori
Ma alla fine i private equity dove investono i soldi raccolti? Essenzialmente sulle Pmi italiane. Dal punto di vista delle dimensioni delle imprese, prevalgono ancora una volta le aziende con meno di 50 milioni di fatturato, che rappresentano il 75% del numero totale. L’ammontare investito è stato pari a 2,9 miliardi di euro, in crescita del 49% rispetto a 1,9 miliardi di euro al 30 giugno 2017. Se si escludono i large e mega deal (operazioni caratterizzate da un capitale investito superiore ai 150 milioni di euro), l’ammontare risulta pari a 1,4 miliardi di euro in crescita del 39% rispetto al miliardo del primo semestre 2017.
“In particolare l’aumento del numero delle operazioni (+15%) nei segmenti early stage, expansion e mid buyout è un segnale molto incoraggiante per la solidità del mercato e i futuri sviluppi”
sottolinea Francesco Giordano, partner di Pwc Deals.
Attivi anche nei disinvestimenti
Per quanto concerne i disinvestimenti, i numeri presentati dal direttore generale di Aifi, Anna Gervasoni, dimostrano che l’ammontare disinvestito, calcolato al costo storico di acquisto, si è attestato a 1,1 miliardi di euro, contro 1,2 miliardi del primo semestre del 2017 (-10%).
“Nella distribuzione dei disinvestimenti per tipologia, nel primo semestre nell’ammontare ha prevalso la cessione a individui privati, family office e istituzioni finanziarie con il 54% del totale pari a 594 milioni di euro”.
Anno da record
“Il 2018 – si sbilanciano da Aifi – si va configurando a tutti gli effetti come anno record per gli investimenti, avendo già raggiunto, dopo nove mesi, le 110 operazioni. Sulla base dei valori enunciati, l’indice trimestrale Private equity monitor, il Pem-I, elaborato dai ricercatori dell’Osservatorio Pem attivo presso la Business school di Liuc – università Cattaneo, si è attestato a quota 283, un valore mai registrato in questo periodo dell’anno nella storia dell’indicatore”.
Ma anche dai numeri dell’Osservatorio Pem al terzo trimestre arriva la conferma: le piccole e medie imprese rappresentano, come sempre, il principale bacino di riferimento per gli operatori. Anche se non mancano un paio di operazioni con valori di rilievo come già visto nei primi sei mesi dell’anno.
L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di novembre del magazine Wall Street Italia.