Privatizzazione Poste: entro un mese la nuova offerta, coinvolgerà anche i piccoli risparmiatori
Nuovo passo avanti nella privatizzazione di Poste Italiane. Dopo il disco verde della scorsa settimana al Dpcm che regolamenta l’alienazione di una quota della partecipazione detenuta dal Mef in Poste Italiane, il ministero dell’Economia e la società sarebbero già al lavoro per cedere la seconda tranche del capitale, pari ad una quota del 15%, entro un mese.
Lo riporta il Sole 24 Ore, specificando che, oltre ad essere la prima operazione di privatizzazione da circa nove anni che coinvolge anche i piccoli risparmiatori, quella in calendario a ottobre, sarà la prima Offerta pubblica di vendita di una società pubblica in versione digitale. L’operazione dovrebbe avere un controvalore di circa 2,5 miliardi, che saranno incassati dallo stato.
La nuova operazione
Entrando nel dettaglio dell’operazione, il quotidiano economico spiega che, con questa tranche, “sarà data la la possibilità per i risparmiatori, sia clienti di Poste, ma anche coloro che non lo sono, di prenotare e acquistare i titoli della societàche verranno messi in vendita anche attraverso i canali remoti del gruppo dei recapiti, quindi attraverso il sito o la app PostePay”.
Ma l’azionista e il management della società – spiega il Sole – devono accelerare, in quanto, l’avvio dell’Opv potrebbe cadere il 14 o il 21 ottobre (più probabile questa seconda data).
Tra gli aspetti chiave che gli advisor saranno chiamati ad individuare, ci sarà quella di individuare la forchetta di prezzo delle azioni di Poste entro la quale fissare il valore di vendita, in base alla domanda ricevuta. Ricordiamo che nel 2015 il prezzo fu fissato a 6,75 euro per un valore complessivo della società di 8,7 miliardi.
Dopo nove anni – ricorda il Sole – di cui sette sotto la guida di Matteo Del Fante, le azioni di Poste Italiane si muovono intorno a 12,3 euro a fronte di una capitalizzazione superiore a 16 miliardi. I titoli in vendita saranno per il 70% circa destinati agli investitori istituzionali; la restante parte ai risparmiatori, di cui una quota riservata ai dipendenti. Nel 2015 circa il 3% del totale dei titoli messi in vendita è stato destinato ai lavoratori del gruppo Poste Italiane.
Governo Meloni, avanti nelle privatizzazioni
La notizia arriva pochi giorni dopo il via libera da parte del Governo del Dpcm sulla privatizzazione, a sua volta preannuncito dall’annuncio, a inizio anno, del Governo Meloni voler smobilizzare una quota nel capitale del gruppo.
Nel decreto del presidente del Consiglio dei ministri che regolamenta l’alienazione di una quota della partecipazione detenuta dal Mef in Poste Italiane (che insieme a Cdp detiene il 65%), si spiega che il Governo al fine di determinare il mantenimento di una partecipazione dello Stato al capitale di Poste superiore al 50%.
Nella Nadef dello scorso anno era indicato un obiettivo di incasso da privatizzazioni di 1 punto di Pil – pari a circa 20 miliardi – nel triennio 2024-2026 (poi leggermente rivisto nel Def di aprile che presentava però solo i numeri tendenziali). Tra le cessioni di quote Eni e Mps, lo Stato ha ottenuto quest’anno circa 3 miliardi di euro. Poste e Fs sono ora tra le aziende pubbliche che garantirebbero i maggiori incassi.
Sindacati bocciano l’operazione
Sulla nuova tranche di privatizzazione, non sono mancati intanto pareri contrari “Il versante delle privatizzazioni il governo non lo sta discutendo con nessuno e il rischio concreto è di fare semplicemente cassa, fuori da un progetto industriale serio del Paese che indichi settori strategici e investimenti” ha detto il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, a ridosso dell’approvazione del Dpcm.
Anche la Uil e la Uilposte esprimono “netta contrarietà ad ogni processo di ulteriore privatizzazione di Poste italiane. L’approvazione del decreto che consente al ministero dell’Economia di vendere fino al 14% di azioni di Poste italiane è un provvedimento sbagliato e pericoloso. La decisione del governo Meloni rappresenta la svendita di una delle aziende migliori del nostro Paese”. È quanto dichiarano la segretaria confederale della Uil, Tiziana Bocchi, e il segretario generale della Uilposte, Claudio Solfaroli Camillocci.
“La scelta del governo – sottolineano i due sindacalisti – non ha nessun contenuto di carattere industriale ed è dannoso e contraddittorio anche da un punto di vista meramente contabile. La svendita di Poste, infatti, non soltanto non allevia il drammatico problema del debito pubblico, ma fa perdere allo Stato italiano una quota significativa dei cospicui dividendi prodotti dall’azienda ogni anno. Questa operazione, inoltre, rafforza ulteriormente i grandi fondi internazionali (BlackRock, Vanguard), già presenti nell’azionariato di Poste, orientandola sempre più verso la speculazione finanziaria e un’ossessiva ricerca del profitto ad ogni costo”.