Un cuscinetto di sicurezza di 18 miliardi di euro, che possano garantire alla Commissione europea che, crescita o no, gli obiettivi di equilibrio dei conti saranno mantenuti. E’ in questa luce che dovrebbe essere letto il piano di privatizzazioni allo studio del governo e che potrebbe dismettere cespiti statali fino a 18 miliardi euro. A spiegarne i contorni è stato lo stesso ministro dell’Economia, Giovanni Tria, secondo il quale tali “incassi costituiscono un margine di sicurezza per garantire che gli obiettivi di riduzione del debito approvati dal parlamento siano raggiunti, anche qualora non si realizzi appieno la crescita del Pil ipotizzata”.
In un primo giro di indiscrezioni pubblicate da Reuters si era parlato della vendita di alcune partecipazioni strategiche, compresa una fetta dell’Eni. Il Mef sarebbe pronto a passare da una quota del 4,34% in Eni all’1% (mentre a Cdp resterebbe il 25,76%). Il ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio, ha poi corretto il tiro, precisando che nei 18 miliardi di dismissioni neanche un centesimo verrà ricavato “vendendo i gioielli di Stato” come Eni, Enel, Poste, Ferrovie. Nel piano privatizzazioni, “mai pezzi di Eni o gioielli di famiglia”, ha poi ribadito il ministro dell’Interno, Matteo Salvini.
Restano sul tavolo, dunque, soprattutto il capitale immobiliare della pubblica amministrazione, il cui valore “è stimato in 385 miliardi, circa 215 miliardi sono di proprietà dei Comuni”, aveva spiegato il ceo di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, al Messaggero, suggerendo che “si potrebbe dare vita a una serie di fondi comunali aperti con l’obiettivo di acquistare e valorizzare una parte di quegli immobili”. In tal modo, aveva suggerito Messina, sarebbero stati gli stessi cittadini, magari mediante incentivi fiscali sul “modello Pir”, a entrare in questi fondi e finanziando la privatizzazione degli immobili.
Il punto debole delle dismissioni immobiliari sta, come sempre nel caso di questo tipo di cespite, nella poca liquidità. Come evidenziato da Sergio Rizzo su Repubblica, in media lo stato è riuscito a incassare dalle cessioni immobiliari solo 20 milioni di euro all’anno – lontanissimi dai 18 miliardi previsti nel piano attualmente in discussione.