Da ormai 15 anni i derivati Alexandria e Santorini mettono a repentaglio le finanze di MPS, compromettendone la vendita a un altro gruppo rivale. Si tratta di due strumenti finanziari che si presume siano stati occultati nei bilanci, con scambi “solo figurativi” di Btp, per nascondere perdite di diverse centinaia di milioni. Le cause legali in corso vengono considerate tuttora un peso che andrebbe a gravare sulla nuova MPS.
Ma secondo un esperto di diritto, la causa sul falso in bilancio da 5 miliardi di euro si potrebbe chiudere in fretta, senza nemmeno convocare testimoni vari. Le prove di falso in bilancio contro gli ex vertici di MPS Alessandro Profumo e Fabrizio Viola sono inconfutabili, secondo l’avvocato Paolo Emilio Falaschi, secondo cui l’attuale amministratore delegato di Leonardo, Viola e Paolo Salvadori, ex presidente del collegio sindacale, hanno contabilizzato titoli che non avevano mai comprato.
In tutto si parla di cinque miliardi di derivati, tra Santorini e Alexandria, che sono costati il rinvio a giudizio ai tre dirigenti. L’anno scorso durante l’udienza preliminare sulla presunta scorretta contabilizzazione dei derivati, la Procura aveva chiesto per tutti gli imputati il proscioglimento.
Il processo MPS sul caso dei derivati Alexandria e Santorini è “documentale”, dice però Falaschi, perché “risulta chiaramente dai documenti che abbiamo prodotto e che sono nel fascicolo. Non c’è bisogno di testimoni che vengono a interpretare questi documenti, che sono chiarissimi”.
Il dibattimento a Milano è cominciato lunedì scorso con la testimonianza dell’ex direttore generale di Bankitalia ed ex ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, e del capo della Vigilanza della Banca d’Italia, Carmelo Barbagallo. Di fronte ai due testimoni indicati a inizio settimana, l’avvocato ha ritenuto opportuno “depositare questo documento che sarebbe il resoconto stenografico dell’audizione del sostituto procuratore della Repubblica di Milano Giordano Baggio”.
MPS: 5 miliardi “mai pagati, ma contabilizzati”
Nel documento si dice che il pubblico ministero aveva svolto delle indagini approfondite. Con l’obiettivo di verificare se i titoli oggetto dell’operazione Alexandria e Santorini (5 miliardi di euro in tutto) fossero effettivamente stati scambiati tra le parti. “Il pm aveva accertato che questi titoli di Stato non erano mai stati acquistati e mai pagati da MPS”, sottolinea Falaschi.
“Nei documenti era facile verificare tutto”, osserva il legale in un intervento video (vedi sotto), “visto che cinque miliardi di euro sono pari, all’epoca, a quasi 10 mila miliardi di vecchie lire“. Sono tanti soldi, tutti usciti dalle casse di MPS. Baggio aveva detto nell’udienza – che è il resoconto stenografico della commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario italiano da parte di – che a a causa di ciò anche i capi di Nomura e Deutsche Bank erano stati rinviati a giudizio.
Ciononostante “non si muove nessuno di Comune, Provincia e Regione”, denuncia Falaschi, “perché sarebbe come accusare automaticamente Profumo, Viola e Salvadori“, i quali sono accusati di falso in bilancio. “Hanno contabilizzato questi titoli senza averceli nel 2012, 2013, 2014, 2015 e 2016”.
“Prima di andarsene via” come dice Falaschi, i vertici “fecero transazioni per 380 milioni” con Nomura su Alexandria e con Deutsche Bank su Santorini. Il riferimento è alle operazioni del 2015 e 2013, rispettivamente, con cui la banca archiviò l’oneroso contratto firmato con le banche. Va detto che la banca senese ha citato per danni la società giapponese, chiedendo almeno 750 milioni di euro.
Ultima chance per fare tornare MPS nelle condizioni in cui era
L’articolo 245 del codice civile stabilisce che il contratto è nullo se è stato stipulato dalla volontà comune di entrambe le parti di occultare l’illecito. È l’articolo a cui intende fare appello Falaschi per aiutare MPS a rafforzarsi finanziariamente. Il falso in bilancio riguardante i 5 miliardi che erano stati contabilizzati senza che fossero stati comprati “è scritto nei documenti ed è l’ultima possibilità che rimane per fare tornare la banca nelle condizioni in cui era“.
L’avvocato Falaschi da anni si batte per fare giustizia e si era candidato anche a presiedere la Fondazione MPS. Il filone dell’inchiesta sui derivati fa parte della vicenda Antonveneta. È la banca comprata a prezzi folli dall’istituto nel 2007 proprio prima dello scoppio della crisi. Secondo le accuse dei pm di Milano, l’operazione “Fresh 2008“ con JP Morgan era in realtà una sorta di prestito mascherato per comprare l’istituto veneto.
Le operazioni Alexandria e Santorini, sempre secondo l’accusa, avrebbero costituito nei fatti due derivati che nei bilanci venivano dissimulati per nascondere perdite miliardarie. Sembra infatti che nel gennaio dl 2013 i vertici di MPS si servirono dell’accordo Santorini per oscurare impropriamente le perdite. Questo portò all’avvio di indagini penali e a un tracollo delle azioni in Borsa.
Il titolo al momento quota 1,29 euro (-2,38%) in un contesto negativo per tutta Piazza Affari. Dieci mesi fa, il 14 maggio 2018, valevano più del doppio (3,28 euro). A febbraio 2013 ci fu bisogno di un piano di bailout del governo da 4,07 miliardi di euro.
La lunga storia del derivato Alexandria
Dieci anni fa, nel 2005, Monte dei Paschi acquistò da Dresner Bank “Alexandria”, uno strumento finanziario complesso. Un derivato a sua volta legato al debito di Skylark (una società veicolo). A prima vista il derivato sembrava un buon affare: aveva un rating tripla A ed era un un CDO (Collateralized Dept Obbligation) sintetico, cioè un’obbligazione che ha come garanzia collaterale cartolarizzazioni di mutui. L’investimento complessivo fu pari a 400 milioni.
In quel periodo MPS non era la sola a servirsi di strumenti derivati come dimostra lo scandalo dei mutui subprime all’origine della grande crisi finanziaria del 2008. Di derivati simili MPS comprò anche “Santorini” e “Nota Italia”. Quando nel 2009 Lehman Brothers fece crac, mandò in subbuglio l’intero settore finanziario mondiale. Alexandria perse il 30% del valore, aprendo una voragine da 220 milioni nel bilancio di MPS.
MPS e Alexandria, in campo i giapponesi di Nomura
Per rimediare MPS ha varato quelle stesse operazioni che sono al centro delle indagini degli inquirenti. In quel periodo entrò in gioco la banca giapponese Nomura. La quale decise di rilevare i titoli Alexandria a un prezzo non di mercato. In questo modo la banca riuscì a occultare la perdita in bilancio. Venne stipulato un contratto in base al quale in cambio di liquidità, MPS si impegnava a cedere a Nomura BTp trentennali, per poi acquistarli negli anni a un valore più alto.
A causa della crisi, i rischi finanziari sono cresciuti con il passare degli anni. In alcuni messaggi inviati ai soci, MPS scrive che il Var (value at risk) massimo è stato superiore ai 200 milioni giornalieri. Si tratta di un livello molto elevato, quasi da fondo speculativo. La Bce, che di recente ha messo in discussione il piano industriale di rilancio del gruppo sotto Marco Morelli, aveva avvertito del fatto che il contratto con Nomura costituiva “un rischio permanente” per il patrimonio dell’istituto senese.
MPS alla fine riuscì a liberarsi della patata bollente. Dopo l’operazione di cessione da 359 milioni, il bilancio crebbe di 257 milioni. Ma i guai legali – quelli – non sono ancora finiti. E annullare il contratto stipulato sui derivati Alexandria e per l’operazione Santorini è l’ultima chance che resta per fare tornare la banca più antica del mondo – se non ai fasti di un tempo – almeno a una situazione patrimoniale salutare, pre crisi.