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PSICODRAMMA IN BORSA

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*Questo documento e’ stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist di Abaxbank ed e’ rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori qualificati, così come definiti nell’art. 31 del Regolamento Consob n° 11522 del 1° luglio 1998 e successive modifiche ed integrazioni. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.

(WSI) – Oscillanti tra paura e avidità, senza che l’una riesca a spiazzare l’altra, i mercati si suonano e si cantano il De Profundis e l’Inno alla Gioia a ore alterne e si convincono per autosuggestione, spesso senza supporto alcuno dal mondo reale, che la recessione è ormai inevitabile o che, al contrario, ormai ce l’abbiamo fatta e siamo fuori dal guado. Da due mesi va in scena lo psicodramma del taglio dei tassi, che ha avuto finora due repliche quasi identiche.

Prima si spera in 25 punti base e si darebbe l’anima per averli, poi la Fed fa sapere che acconsente. Il mercato festeggia, ma dopo qualche ora a qualcuno viene in mente che i 25 potrebbero diventare 50, mai porre limiti alla provvidenza. La voce isolata si fa rapidamente coro e il fuoco dell’entusiasmo divampa nei cuori assetati di speranza. Dopo qualche giorno i 50 diventano certezza, tutti dicono di vederli splendere in un alone di luce e di poterli toccare con le mani imploranti. Alla data stabilita la Fed consegna esattamente quanto promesso ma i 25 punti per i quali si era pure festeggiato diventano ora causa di disperazione e di risentimento contro il Fomc dei professori parrucconi e duri di cuore che ci porterà diritti alla recessione.

Lo psicodramma viene vissuto in modo sempre più concitato anche perché si avvicina la fine dell’anno e nessun gestore può permettersi di sbagliare. Si è quasi tutti più o meno convinti che l’anno si chiuderà con un rally, ma non è dato sapere se il rialzo è per l’ultimo mese, per l’ultima settimana, per l’ultimo giorno o per l’ultima ora, per cui c’è sempre tempo per scendere, all’occorrenza.

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Dal mondo reale, intanto, arrivano segnali tanto costanti e regolari quanto volatili e stravolte sono le rappresentazioni mentali che se ne fanno i mercati. I segnali sono di tre tipi. Il primo è dato dal flusso martellante di comunicazioni di perdite, svalutazioni e “write off” provenienti dal mondo della finanza. Queste operazioni dovevano essere finite in agosto, sembravano completate ai primi di novembre e vengono date per vicine all’esaurimento oggi. In realtà, pur con le cifre imponenti annunciate negli ultimi giorni, continuano a non tornare i conti. Tra il buco complessivo stimato top down e gli scheletri finora scoperti negli armadi e annunciati bottom up c’è un divario di parecchie decine di miliardi che induce a pensare che ci sarà un flusso di scheletri emergenti ancora per qualche mese.

Il secondo flusso di dati di segno costante e regolare proviene dalle economie reali. Dopo il brusco calo di velocità registrato in tutto il mondo, da due mesi in qua si procede a velocità stabile (molto bassa negli Stati Uniti, media in Europa, alta ma non altissima in Asia e qualche sobbalzo in Giappone). Dire che si sta rallentando, se si sta ai fatti, è quindi fuorviante e dà un’idea più negativa del dovuto. Naturalmente nulla vieta che ci siano dietro l’angolo nuovi rallentamenti (e per i consumi americani questo appare piuttosto probabile), ma è sempre bene distinguere i fatti accertati dalle ipotesi, per legittime che siano.

In realtà, le stime macro per il primo e secondo trimestre, quelle cioè che, essendo vicine, contengono meno metafisica di quelle più lontane, non sono così brutte come si potrebbe pensare. I più pessimisti di tutti, a quanto ci consta, danno crescita zero negli Stati Uniti e rallentamento ulteriore, ma non drammatico, nel resto del mondo. Qua e là, a ben vedere, si intravede addirittura qualche riaccelerazione in Europe e in America nel primo trimestre.

Il terzo flusso di segnali regolari arriva dalle banche centrali, che agiscono
ormai da agosto su due binari separati. Il primo è il binario generale, quello in cui si cerca di conciliare il sostegno alla crescita con la prevenzione
dell’inflazione. Su questo binario viene di fatto mantenuto un atteggiamento il più possibile composto, fatto di stabilità in Europa e di graduali e cauti ribassi dei tassi in America. Mantenere questa compostezza sarà in futuro ancora più difficile e stressante. Da una parte c’è chi guarda lontano come l’Ocse e raccomanda di non tagliare più, pena il ripetere errori passati che hanno portato a bolle e inflazione, dall’altra c’è la richiesta pressante e quasi ricattatoria di banche e mercati che vorrebbero i tassi a zero (salvo poi volerli a infinito quando, come nel marzo 2006, si scoprono all’improvviso rischi d’inflazione). Tirata da tutte le parti la Fed, per quello che si può supporre oggi, taglierà ancora due, forse tre volte (e la Bce, forse, una).

Quanto al secondo binario, quello dedicato alle banche, le banche centrali continuano a trasmettere lo stesso segnale. Faremo, dicono, tutto quello che occorre per garantire liquidità al sistema. Tutto. Visti dai mercati, questi tre flussi regolari di dati dal mondo reale dovrebbero indurre a una certa cautela, ma non a situazioni di tensione o di panico. Molti strategist dicono anzi che questa cautela è eccessiva e che il costante calo dei tassi di policy dovrebbe portare a un riprezzamento del premio per il rischio e a un recupero dei corsi di azioni e crediti. Chi dice questo aggiunge quasi sempre, a mo’ di disclaimer, che questa idea vale finché non c’è recessione. Nel qual caso ci sarebbe invece parecchio spazio per scendere, guardando ai casi passati.

In questo modo si produce un range di previsione amplissimo che poggia, nei due estremi, su differenze modeste nei livelli di crescita. Basta che l’America cresca dell’uno per cento e si può andare verso un fair value ben più alto dei livelli attuali, ma d’altra parte basta scendere a crescita zero per giustificare un significativo ribasso. I mercati, che al di là delle convulsioni e delle autosuggestioni mostrano un certo equilibrio di fondo, devono sistemarsi tra queste due ipotesi e ci sembra giusto che, come mostrano i livelli attuali, si sbilancino in una certa misura dal lato della prudenza.

Se ipotizziamo che i prossimi tre-sei mesi vedano ancora prodursi svalutazioni di bilancio, crescita ridotta e tagli dei tassi allora i mercati non dovrebbero allontanarsi troppo da dove si trovano adesso. Il lungo viaggio verso il fair value, se si vuole che sia sicuro, sarà bene che cominci più avanti, quando la situazione di crediti si sarà normalizzata sul serio e quando si avrà qualche certezza in più sulla tenuta dei consumi negli Stati Uniti.

Lo stesso ragionamento va fatto per il dollaro. Ci sembra legittimo passare da negativi a neutrali (e iniziare a smontare almeno parzialmente le coperture che abbiamo raccomandato in questi anni), ma ci sembra ancora presto per diventare positivi. Perché il dollaro possa iniziare il suo cammino verso il fair value, oltre alla normalizzazione dei crediti e alla tenuta dei consumi occorrerà avere qualche altra conferma sul trend di riduzione del disavanzo delle partite correnti. Attenzione dunque, sul dollaro, alle false partenze.

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