di Riccardo Maria Monti*
L’evoluzione dello geopolitica, mai come in questi ultimi mesi assolutamente repentina ed estremamente “violenta”, sta mettendo seriamente in discussione il modello di globalizzazione per come si era consolidato negli ultimi decenni. Oggi la domanda da porsi è: che impatto può avere il nuovo scenario geopolitico sui grandi flussi commerciali di import-export?
Geopolitica e commercio
Come sempre, è difficile fare previsioni, ma non possiamo non guardare ai fatti e a come si presentano oggi. Nella prima fase dell’invasione russa dell’Ucraina, si è diffuso in molti l’idea che si andasse verso una grandissima polarizzazione tra il mondo delle democrazie (tendenzialmente “occidentali“) e le autarchie asiatiche. L’evoluzione del conflitto negli ultimi mesi, con l’emergere sempre più chiaro ed evidente delle difficoltà della Russia e con il crescente nervosismo dimostrato dalle grandi potenze “non occidentali” nei confronti della Russia, stanno delineando un quadro molto diverso e per certi versi molto più rassicurante. La Cina è passata dalla “amicizia illimitata” con la Russia a una richiesta esplicita di cessate il fuoco e di rispetto della sovranità e dei confini.
La Turchia e l’India hanno chiaramente manifestato il loro nervosismo a Putin perché nessuno si può permettere anni di questi prezzi delle materie prime energetiche. La tensione tra Stati Uniti e Cina, che ha toccato il suo picco con la visita di Nancy Pelosi a Taiwan, sta gradualmente calando. La Cina, con una economia fiaccata dalla assurda politica “zero Covid”, sembra non avere nessuna intenzione di mettere a rischio la prosperità del suo miliardo e mezzo di cittadini per avventurose iniziative militari su Taiwan. Anche perché le sanzioni contro Mosca cominciano a minare dal profondo l’economia russa e rappresentano un deterrente oggettivo per un paese che vive di esportazioni.
È probabile, dunque, che i grandi flussi import/export non saranno stravolti dall’assetto geopolitico che si va delineando. Ma questo non significa che non ci siano importanti movimenti in corso.
Il ruolo del coronavirus
Oltre alla guerra e alla geopolitica è stata la dura lezione del Covid, con la relativa disarticolazione delle catene del valore, a far sì che tutti i grandi blocchi economici stiano ponendo una sempre maggiore enfasi sull’autonomia rispetto alle forniture strategiche. L’autonomia alimentare, energetica e tecnologica è diventata all’improvviso una delle grandi priorità di Europa, Stati Uniti e Cina, oltre che delle potenze regionali. L’esempio della Germania, che ha costruito un modello economico di straordinario successo il cui pivot era l’accesso a costi molto contenuti alle infinite risorse energetiche russe, ha mostrato tutti i suoi drammatici limiti e rappresenta un monito per tutti.
Da un punto di vista pratico dunque, stiamo vedendo dei rapidi riposizionamenti delle catene del valore in una logica di “nearsourcing”. Grandi investimenti dei governi per assicurarsi diversità di fonti per materie prime alimentari, microchip, fertilizzanti, idrocarburi ecc. Catene di subfornitura concentrate in paesi prossimi e politicamente “amici”. Ma tutto questo sarebbe potuto essere anche semplicemente il risultato di dinamiche economiche e di un più oculato “risk management”. In conclusione, sono convinto che le “campane a morto” per la globalizzazione e il modello di libero commercio che ha generato decenni di benessere per miliardi di persone in ogni angolo del mondo, siano fortemente premature.
*Riccardo Maria Monti è un manager e imprenditore, che attualmente ricopre il ruolo presidente del Gruppo Triboo