La sentenza della Corte costituzionale tedesca sulla parziale incompatibilità del Quantitative easing della Bce con il suo mandato ha rimesso al centro dell’attenzione la natura di questo strumento di politica monetaria. Al di là delle questioni di legittimità, nessuno ha mai dubitato che l’introduzione del Qe in Europa sia stata una vera e propria svolta.
Per capire l’importanza del Qe sotto il profilo tecnico è sufficiente osservare un grafico: quello che rappresenta l’evoluzione del bilancio della Banca centrale europea nel corso degli anni. In parole semplici, le attività del bilancio della banca centrale rappresentano i titoli acquistati in portafoglio, mentre le passività sono rappresentate dal denaro emesso dalla stessa banca (banconote e altre forme di liquidità).
Ebbene, a partire dal 2015 emerge un cambiamento evidente: la dimensione del bilancio Bce inizia lievitare a tutta velocità. E’ il segno che la banca sta pompando quantità sempre maggiori di liquidità nel sistema economico. Ciò è avvenuto in misura assai maggiore nel periodo successivo al 2015 rispetto a quanto avvenuto nel dopo-2008, quando a colpire fu il crac della Lehman Brothers e la crisi finanziaria.
Di preciso qual è la componente del bilancio Bce che ha contribuito al deciso incremento della sua dimensione complessiva? Si tratta degli acquisti di titoli emessi da “residenti dell’Eurozona denominati in euro” (la parte violetta del grafico in basso). Il valore di questi titoli, nel portafoglio della Bce, sono passati dai 590 miliardi del 2014 ai quasi 2.900 miliardi del 2018: un incremento del 374%. E’ all’interno di questa categoria di asset che rientrano i titoli di stato acquistati dalla Bce, scatenando polemiche, battaglie legali, ma anche il plauso dei Paesi membri più in difficoltà. E’ in questi numeri che si riassume la portata del Quantitative easing europeo, avviato ufficialmente il 4 marzo 2015.
Quantitative easing Bce, quando e perché
L’acquisto di titoli pubblici e privati da parte della Banca centrale europea avviene circa sei anni dopo l’avvio di un programma analogo da parte della Federal Reserve americana. L’annuncio del Qe europeo è ritenuto come uno dei momenti cruciali dell’era-Draghi. Da anni, infatti, il Consiglio direttivo si era dimostrato restio ad avviare un programma di acquisti di titoli che, secondo una linea di pensiero dura a morire, sarebbe stato estraneo al mandato della stessa Bce (alla quale è fatto divieto di monetizzare il debito degli stati).
Fra il 2014 e il 2015, tuttavia, avviene a livello macroeconomico un cambiamento difficile da ignorare per la banca centrale: l’inflazione dell’Eurozona punta dritta verso il “segno meno”, essendo scesa dallo 0,4% allo 0,2%.
Un calo che non può che essere ricondotto, almeno in parte, alle politiche di austerità che hanno caratterizzato l’Eurozona negli anni successivi alla crisi del 2011. La giustificazione del Quantitative easing viene così ricondotta all’obiettivo-cardine della Bce, quello della stabilità dei prezzi a un livello di inflazione al di sotto ma vicino al 2%. Per anni tale livello sarà una chimera, sollevando dubbi sulla stessa efficacia del Qe come strumento di stimolo all’inflazione.
Nel corso della sua durata il Quantitative easing ha attraversato cinque fasi:
- Dal marzo 2015 al marzo 2016 gli acquisti netti mensili sono stati di 60 miliardi di euro
- Dall’aprile al marzo 2017, pari a 80 miliardi di euro
- Dall’aprile 2017 al dicembre 2017, 60 miliardi di euro
- Dal gennaio 2018 al settembre 2018, 30 miliardi euro
- Dall’ottobre 2018 al dicembre 2018 15 miliardi di euro
Solo nel 2018 i livello dei prezzi si avvicinerà al target della Bce (con un tasso dell’1,8%) e il Qe sarà messo temporaneamente fra parentesi, fino alla ripresa degli acquisti aggiuntivi di titoli riavviata nel novembre 2019, con un ritmo di acquisti pari a 20 miliardi di euro.