Paolo Mieli, designato presidente della Rai in un consiglio di persone serie, può fare, se accetta l’incarico, un buon lavoro aziendale e politico, culturale e civile (alla Rai queste dimensioni si intrecciano per ragioni che tutti sanno).
Può dare dei segnali di discontinuità rispetto ai pasticci nati con il discorso di Sofia di Silvio Berlusconi, interpretato da quasi tutti come un abuso di potere e un gesto vendicativo verso giornalisti che si erano comportati con lui, allora capo dell’opposizione in campagna elettorale, da tagliagole.
Può imporre un modello di gestione dell’azienda di informazione cultura e intrattenimento più importante del paese che faccia i conti con la politica e con il conflitto potenziale di interessi del premier, senza subire le imposizioni della politica.
Ma è importante che quello che è stato percepito come un abuso (Silvio Berlusconi continua a negare di aver voluto licenziare dei giornalisti, ma le percezioni contano) non si riconverta nell’abuso contrario: la riconduzione della Rai ai fasti faziosi di Roberto Zaccaria o alle parzialità della Rai dei “professori”.
Il pallino di Mieli e del suo piccolo ma influente partito “terzista”, che è anche il pallino di noi foglianti che tutto siamo tranne che “terzisti”, è il funzionamento della democrazia dell’alternanza.
Non ci si spara addosso tra vincitori e perdenti delle elezioni. Ci si combatte a viso aperto, nella consapevolezza, da ribadire e rilegittimare tutti i giorni, che le istituzioni si rispettano, il governo come l’opposizione parlamentare come i poteri neutri, e le libertà si estendono e garantiscono anche impedendo che se ne faccia abuso fazioso.
Il diritto al dissenso e all’accesso per tutte le opinioni è una cosa, la Rai di Zaccaria un’altra. Il diritto di tutte le aree politiche a essere rappresentate, comprese quelle che sono maggioranza nel paese e compreso il Nord di Umberto Bossi, è una cosa, ma le soluzioni pasticciate della gestione Baldassarre sono un altro affare.
Se questa ipotesi di ragionevolezza e di mediazione andrà in porto, lo dovremo a tre fattori. Una legge varata dal governo prevede che il presidente della Rai debba godere della fiducia dei due terzi della Commissione parlamentare di vigilanza, quindi una figura come si dice di garanzia (bravo Berlusconi).
I presidenti delle Camere hanno assunto questo modello di riferimento per le loro nomine (bravi presidenti). L’opposizione ha deciso di vedere il gioco e ha fatto tre nomi di qualità, che non avevano alcun profilo di provocazione partigiana (brava l’opposizione).
E’ il primo caso politico, fra molti comprensibili mal di pancia delle tifoserie, di rispetto del gioco istituzionale da parte degli attori del bipolarismo. E a guadagnarne dovrebbe essere la Rai, chi la paga e chi la vede, insieme con il nostro tormentato sistema politico.
Poi c’è un comma importante: non ci fate agonizzare di noia, non vogliamo morire di pettegolezzi sulle vallette e di pizzichi da telecomando, abbiate tutti uno stile e coltivate qualche eccentricità, fateci vedere che della libertà si può fare un uso non melenso, non pavido, non scontato, fate in modo che alla parola cultura non si debba mettere mano alla pistola, come ormai fanno tutte le persone di razza non appena sentono odore di salotto o di conventicola perbenista.
Copyright © Il Foglio per Wall Street Italia, Inc. Riproduzione vietata. All rights reserved