Capire che cosa è sostenibile, cos’altro non lo è. E soprattutto, come misurare in modo oggettivo tutte le possibili gradazioni intermedie fra un estremo e l’altro. Valutare questa materia è un esercizio che si fonda, almeno in parte, su elementi arbitrari. Se il rating sulla qualità dei conti finanziari, regno di S&P, Moody’s e Fitch, è fortemente regolamentato (leggi il nostro focus), quello sui giudizi Esg resta un ambito che aspetta ancora una più stringente standardizzazione. Cionondimeno, l’importanza di poter esibire una valutazione indipendente sul livello di sostenibilità di un’azienda è più forte che mai.
A elaborare i rating sulla sostenibilità ambientale, sociale e di governance sono una pluralità di società (Msci, Morningstar, Sustainalytics, Refinitiv e molte altre ancora). I metri e i pesi di valutazione possono differire in misura notevole. Pertanto, anche le rispettive valutazioni risultano poco sovrapponibili. E’ importante partire da qui, mettendo subito in chiaro che non esiste un metodo univoco per l’elaborazione del voto Esg.
Secondo un working paper del Mit Sloan School of Management le votazioni di cinque agenzie che forniscono rating Esg (KLD, Sustainalytics, Video-Eiris, Asset4, and RobecoSAM) sono correlate al 61%. Per fare un paragone, i rating sul credito fra Moody’s e S&P risultano correlati al 99%.
Una differenza che dimostra come ciascuna componente del giudizio complessivo possa avere un peso specifico diverso a seconda dell’agenzia valutante. Anche per questo il Parlamento europeo ha incaricato la Commissione di elaborare una tassonomia degli investimenti green per fare chiarezza su quali settori siano realmente favorevoli a una transizione più sostenibile dell’economia.
Come funziona il rating Esg
La premessa della valutazione Esg è simile a quella dei rating sul merito di credito: le società, interessate a comunicare la propria qualità attraverso un’analisi indipendente, siglano dei contratti con agenzie che si impegnano a valutare le loro informazioni e a elaborare un giudizio sulla sostenibilità dell’azienda secondo i criteri Esg. Secondo un’analisi Accenture del 2016 ben otto ceo su dieci ritengono che “dimostrare il proprio impegno verso propositi di tipo sociale sia un elemento di differenziazione nel proprio settore”.
I punteggi Esg vengono elaborati sulla base di dati pubblici, diffusi dalle società, dalla pubblicistica o sui report delle organizzazioni non governative: partendo da queste informazioni le agenzie attribuiscono una valutazione suddivisa in diverse “caselle” che solitamente si ispirano ai 17 temi che compongono gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.
“La divergenza nel peso” attribuito a determinate informazioni, “può verificarsi quando le agenzie assegnano vari gradi di importanza agli attributi, valorizzando, ad esempio, i diritti umani più del lobbying”, scrive la Mit School of Management. Non solo: a variare possono essere anche i metodi di misurazione. Ad esempio un’agenzia “potrebbe valutare le pratiche lavorative dell’azienda sulla base del turnover della forza lavoro, mentre per un’altra conta il numero di vertenze mosse contro l’azienda”, scrive il Mit, “mentre entrambe le misurazioni catturano aspetti delle pratiche lavorative di un’azienda, è probabile che conducano a diverse valutazioni”.
L’importanza nell’integrazione dei fattori Esg nelle strategie di investimento sostenibile ha quasi raggiunto quella della più vecchia strategia di screening negativo: secondo la Global sustainability international alliance, fra il 2016 e il 2018 l’integrazione Esg è crescita del 69% a 17,5 miliardi di asset.