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RCS, SOCI IN MANOVRA SUL 10% FIAT

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(WSI) – C’è una domanda sul Corriere della Sera che da un paio di giorni sta sovrastando il tormentone del «Chi c’è dietro Stefano Ricucci?». È questa: «Chi vuole far vendere a Fiat il 10% di Rcs?». A pensar male si potrebbe concludere che chi lancia il sasso di solito poi nasconde la mano. Ma, conoscendo la persona, si può immediatamente evitare di battere questa strada.

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Quando lunedì in Assolombarda l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, ha risposto secco alle agenzie di stampa che: «A vendere ci avrà pensato qualcun altro, non certo io», riferendosi a un altro tormentone, quello del Lingotto «anello debole» del patto di sindacato di Rcs e quindi venditore della propria quota. Con la spada di Damocle dell’Opa da parte di Ricucci, la questione sta creando un certo rumore tra i soci del patto. E la caccia al possibile «traditore» si è subito riaperta anche se il recente codicillo al patto, ideato dal presidente del patto e della società, Piergaetano Marchetti, insieme al presidente di Banca Intesa, Giovanni Bazoli, per sterilizzare gli assalti di Ricucci & C. ha già aperto un fronte di nervosismo in alcuni grandi soci che lo ritengono un segnale di debolezza. Reso ancora più tangibile in virtù del fatto che di fronte all’Opa resterebbe lettera morta.

Ma chi spinge per l’uscita Fiat? Il mese scorso F&M ha dato conto di un progetto della famiglia Agnelli, e in particolare del loro massimo rappresentante Gianluigi Gabetti, per girare le pertinenze Fiat, tra le quali appunto Rcs, alla Ifil. Un’idea, pare, suggerita dal presidente del Sanpaolo Imi, Enrico Salza, ma subito bocciata dalle altre banche del convertendo Fiat e azioniste del Corriere, Intesa e Capitalia. Ma queste potrebbero esporre un facile alibi: perché costringere oggi Fiat a vendere se a settembre quella quota potrà essere governata direttamente (come la Fiat) dalle stesse banche? Tra queste vi è Unicredito che vede (giustamente) Rcs come una partecipazione estranea al core business e quindi alienabile. Ma il suo amministratore delegato, Alessandro Profumo, si è chiamato talmente fuori dalla partita Corriere che è difficile fotografarlo in pressing su Marchionne.

Le ragioni di chi preme su Fiat, spiegano in ambienti vicini a un azionista del patto, sarebbero allora da ricercare nella necessità di anticipare le mosse di Ricucci. Si starebbe, cioè, studiando un accordo per rilevare pro-quota da parte degli altri 14 soci il 10,291% di Fiat: ognuno si dovrebbe accollare lo 0,735% pagando circa 31 milioni a testa ai prezzi di ieri in Borsa. Ma un conto è farlo ora, altro è in presenza di un’offerta pubblica d’acquisto.

La soluzione non è semplice, né appare alla portata: se è dura convincere 14 soci dell’urgenza della manovra, ancora più dura è invogliarli a mettere mano al portafogli soprattutto se qualcuno di loro è stato convinto dagli altri che quello di Ricucci è solo un bluff, che il fango a mezzo stampa l’abbia piegato o che stia pensando ormai solo all’imminente matrimonio con Anna Falchi.

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