ROMA (WSI)- Accompagnato dai presidenti di Montecitorio e Palazzo Madama Laura Boldrini e Pietro Grasso il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è arrivato alla Camera in una cerimonia all’insegno della sobrieta’.
Alle 17 il rieletto capo dello Stato ha pronunciato un discorso di insediamento commosso e durissimo alla Camera davanti ai grandi elettori che lo hanno scelto, subito dopo il giuramento.
Il parlamento e’ stato trattato molto male. Le forze politiche sono state definite “sterili e minimaliste”. “Per la politica e’ tempo delle riforme”, ha aggiunto Napolitano, minacciando di sciogliere le Camere se non verranno mantenute le promesse. “Prendero’ provvedimenti se le forze politiche saranno sorde”.
Ondata di applausi dagli scranni parlamentari, ma non dal Movimento 5 Stelle. Di loro, solo il vice presidente alla Camera Di Maio ha applaudito e stretto la mano al rieletto preisdente.
Per quanto riguarda il governo, Napolitano starebbe pensando a un governo politico con forti innesti tecnici. Domani le consultazioni.
“Non ho accettato questo incarico perche’ l’Italia rimanga ingovernabile”, ha precisato con voce roca. Tra esattamente sette anni, al termine del suo secondo mandato da Presidente, Napolitano compira’ 94 anni.
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ROMA (WSI) – (…)
Nemmeno Re Giorgio redivivo, rafforzato dall’incapacita’ altrui, dall’arma delle dimissioni che sempre in mano ha e dalla possibilità di sciogliere le Camere, tuttavia si nasconde le grandi difficoltà di formare e soprattutto far funzionare un governo nella situazione data. Ecco i personaggi e gli interpreti sui quali il Colle sta ri-ragionando, per arrivare in tempi brevi ad una proposta di governo praticabile:
Uno. Non c’è dubbio che Re Giorgio risorto dopo Pasqua voglia Amato. Lo considera il miglior professionista della politica, nella situazione data, incappucciato com’è con i poteri forti internazionali. Sa anche che le controindicazioni ci sono e sono tante, al netto delle voglie di rivincita dei fratelli Craxi, e la principale e’ quella della battaglia frontale che ha avviato Grillo contro di lui. Ma Re Giorgio sa essere tignoso.
Due. Letta Enrico: tanti dicono che la sua esperienza di sottosegretario alla presidenza del Consiglio nell’ultimo governo Prodi non è stata un granché, malgrado la buona stampa. Ma l’obiezione sostanziale e’ questa: in questi mesi non soltanto e’ stato il vice di Bersani condividendone tutti gli errori ma contemporaneamente ha partecipato sia a tutte le consultazioni per costruire il “governo di cambiamento per smacchiare il leopardo” sia a tutte le trattative con il Conte Zio Letta Gianni per eleggere un Presidente della Repubblica condiviso con Berlusconi.
Quanti voti perderà nella faida perenne del fu Pd? È il vice di Giulio Tremonti all’Aspen, e’ vice di tante cose per via di anni di frequentazione dell’establishment incappucciato, ma può essere lui l’Andreotti di questi difficili e disperati anni? Bindi Rospy intanto gli consiglia vivamente di lasciar perdere.
Tre. Grasso Pietro avrebbe il vantaggio di liberare una poltrona, peraltro ambita dal Pdl, e diventare l’esecutore dei punti programmatici individuati dai cosiddetti saggi alcune settimane fa. Certo, non ha alcuna esperienza delle dinamiche politiche e di governo ma è oggi uomo delle istituzioni e i grillini, o almeno una parte di essi, potrebbero riscontrare su di lui incrostazioni minori e avere qualche diffidenza in meno a dialogare su temi specifici.
Quattro. Stesso discorso varrebbe in una certa qual misura per Cancellieri Pina.
Cinque. Fabrizio Saccomanni. La grave situazione economica potrebbe consigliare a Re Giorgio di ricorrere al direttore generale di Bankitalia, o comunque inserirlo all’Economia al posto di Grilli. Quel che è certo e’ che Monti Mario dai dicasteri economici ne verrà tenuto lontano, vista la sua disastrosa esperienza rispetto agli andamenti dell’economia reale, cosa che sa bene anche il suo cane Spread.
Del resto Scelta Civica è una formazione troppo grande per fare da semplice supporto ad un ministro degli Esteri (massima carica cui l’ex premier può aspirare) e troppo piccola per supportarne altre di ambizioni.
Sei. Tuttavia un governo ci sarà, e presto. Magari con Amato ministro e non premier, con Alfano, con Violante e Onida, non con Giorgetti e con la difficoltà di individuare i nomi pesanti del Pd dopo la mattanza e la coda di veleni e dimissioni delle settimane appena trascorse.
Insomma, il governo avrà il meglio di quello che offre la piazza dei professionisti, farà gli interventi possibili sull’economia e la metà dei punti programmatici dei saggi: niente riforme costituzionali, probabilmente la riforma elettorale, niente riforma della giustizia perché troppo distanti le posizioni. E tale governo resterà in carica sino al maggio 2014 per collocare le elezioni anticipate insieme a quelle per il Parlamento europeo.
Nel frattempo, bisognerà vedere quali altri spaccature nel Pd emergeranno dal voto di fiducia al governo (a cominciare dal distacco vergognoso di Vendola che dopo ha impuegato cinque minuti dal voto a tradire Bersani e si avvia a ricostituire una sorta di fantasma del Psiup con Ingroia e Barca). E cosa succedera’ al congresso, devastante e finale, che si terra entro l’anno? Chi vincerà l’opa sul Pd?
Berlusconi, nonostante la sua buona tattica recente, non otterrà nulla per la fuoriuscita definitiva dai suoi processi. Anche se, va detto, sinora gli aiutini del Colle hanno rimandato la questione. Ma la caduta del Pd non potrà che riflettersi nel l’implosione del Pdl, con la diaspora che seguirà all’effetto sentenze.
Grillo Beppe e i suoi grillini, per quanto si nutrano della rabbia del Paese per l’impoverimento che avanza, sono un fenomeno transitorio, come sta emergendo proprio nell’ora del loro massimo successo apparente, dovuto in gran parte al disfacimento suicida del Pd.
E il leader maximo sta moderando i toni perché ha capito, dopo molte e ripetute spiegazioni, che un qualsiasi incidente in una sua piazza avrebbe conseguenze devastanti per il Paese. Rodota’, diventato improvvisamente titolare di 240 voti quirinalizi, probabilmente ha avuto ancora meno voti digitali per piazzarsi terzo dopo Gabanelli e Strada e diventare il candidato dopo la rinuncia dei primi due classificati alle “quirinarie” grilline sulla rete.
Cinquantamila clic, hanno detto dalle parti di Casaleggio, per candidarlo, un’inezia rispetto agli stessi otto milioni e mezzo di voti che i grillini hanno avuto dagli italiani a febbraio. Ma bisogna decidersi: la nostra e’ una democrazia rappresentativa o un sistema basato su chi in quel momento ha voglia e tempo di mettere un clic sulla rete? Un punto debole che mina alla base il partito della trasparenza.
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