Dopo la Germania, anche l’eurozona è entrata ufficialmente in recessione tecnica, dopo due flessioni trimestrali consecutive del Pil. Negli ultimi mesi si è sentito spesso parlare di recessione e delle sue implicazioni sui consumi, gli investimenti e non da ultimo sui mercati finanziari. Vediamo nel dettaglio cosa si intende con questo termine e quali impatti determina nel concreto su famiglie e imprese, cercando di capire se l’Italia sia fuori pericolo.
Cos’è la recessione: il significato
Con il termine “recessione” si indica una fase caratterizzata da un calo generale dell’attività economica che dura diversi mesi. Quando la situazione è particolarmente grave e si prolunga per anni, si parla invece di una “depressione”. Le recessioni sono fisiologiche e si alternano ciclicamente alle fasi espansive dell’economia.
La misura principale per definire una recessione è il Prodotto Interno Lordo. Una cosiddetta “recessione tecnica” si verifica in presenza di due trimestri consecutivi di riduzione del Pil, mentre una recessione economica in senso più esteso è connotata da un calo della produttività, dei redditi e dei consumi, oltre a un aumento della disoccupazione.
Alcuni segnali possono anticipare la possibilità di una recessione, come l’inversione della curva dei rendimenti, un calo della fiducia dei consumatori, tracolli del mercato azionario e squilibri nel mercato dell’occupazione. Tra le possibili cause possono esserci crisi finanziaria o politica, shock esogeni come guerre, pandemie, catastrofi naturali o una pluralità di concause.
Gli impatti della recessione sull’economia
Tra le principali conseguenze della recessione spicca la riduzione della produttività, in scia al rallentamento della domanda di beni e servizi. Questo comporta una contrazione dei margini e della redditività delle imprese, che possono andare incontro a difficoltà finanziarie e potenziali default.
Per far fronte a queste problematiche, le aziende tendono a tagliare il personale per contenere i costi, provocando un aumento del tasso di disoccupazione, che a sua volta incide sul reddito disponibile e sulla fiducia dei consumatori frenando ulteriormente le spese per beni e servizi.
La riduzione dei profitti e dei redditi a sua volta rende più difficoltoso l’accesso al credito per famiglie e imprese, che devono sostenere costi di indebitamento più elevati. Dinamica particolarmente significativa in un contesto macroeconomico come quello attuale, in cui le banche centrali hanno alzato vertiginosamente i tassi di interesse per contrastare l’inflazione dilagante.
Una fase recessiva è caratterizzata anche da un calo degli investimenti privati, con le imprese meno propense a destinare risorse in nuovi progetti a causa dell’incertezza, e da un aumento del debito pubblico, in scia alle misure dei governi per stimolare la ripresa, con conseguenze negative in termini di rischio Paese e sui mercati finanziari (ad esempio con la temuta risalita dello spread Btp-Bund).
Banche centrali avanti con l’inasprimento monetario
La prossima settimana si terranno le riunioni di politica monetaria della Fed (13-14 giugno) e della Bce (15 giugno). Nei meeting precedenti, a maggio, entrambi gli istituti hanno alzato i tassi di interesse di 25 punti, cosicché il costo del denaro negli Usa è stato portato al range 5-5,25% mentre in Europa il tasso di rifinanziamento principale si attesta al 3,75%, quello di rifinanziamento marginale al 4,0% e quello sui depositi presso la Bce al 3,25%.
Stavolta, si va verso una divergenza fra le due banche centrali. Nel caso della banca centrale americana, le aspettative sono per una pausa nel ciclo restrittivo, in attesa di valutare ulteriori dati. Gli ultimi report hanno evidenziato un’inflazione ancora ostinatamente elevata: il core Pce, una delle misure dei prezzi più attentamente monitorate dai funzionari del Fomc, ha accelerato al 4,7% ad aprile. Motivo per cui la pausa di giugno potrebbe essere seguita da un nuovo rialzo dei tassi a luglio, mentre eventuali tagli già quest’anno sembrano molto improbabili.
Christine Lagarde e gli altri membri del Consiglio Direttivo dell’istituto di Francoforte hanno più volte ribadito che il lavoro non è terminato e resta ancora terreno da percorrere per portare i tassi su livelli sufficientemente restrittivi. Le stime degli analisti indicano con certezza quasi assoluta una stretta da 25 punti base la settimana prossima da parte della Bce e almeno un altro ritocco tra luglio e settembre.
In ogni caso, l’approccio delle banche centrali è chiaro: le conseguenze di una modesta recessione fanno meno paura rispetto ad una fase prolungata di inflazione, motivo per cui è meglio rischiare di alzare troppo i tassi rispetto a non intervenire tempestivamente.
Eurozona in recessione tecnica per la prima volta dalla pandemia
L’impatto dell’elevata inflazione e dell’inasprimento monetario si sta comunque facendo sentire sull’economia dell’eurozona. Nel primo trimestre del 2023 il Pil della regione ha evidenziato una flessione dello 0,1%, la seconda consecutiva dopo quella di pari entità registrata negli ultimi tre mesi del 2022.
La zona euro è dunque entrata ufficialmente in recessione tecnica, una situazione che non si verificava dai tempi della pandemia, anche se vista la misura contenuta della contrazione si potrebbe più correttamente parlare di “ampia stagnazione”. Il rallentamento dell’economia del blocco dei Paesi che utilizzano la moneta unica è stato determinato principalmente dalla performance della Germania, scivolata in recessione con un -0,3% nel 1Q preceduto da un -0,5% nel 4Q 2022.
I rischi di recessione per l’Italia
Per ora, l’Italia ha agevolmente schivato la recessione. La lettura finale sul Pil italiano del primo trimestre 2023 ha evidenziato una crescita congiunturale dello 0,6%, persino superiore al +0,5% emerso dalla rilevazione preliminare.
L’economia italiana ha mostrato una certa resilienza dei consumi, degli investimenti e dell’occupazione, seppur con squilibri che determinano una carenza di manodopera in alcuni segmenti, mentre la ripresa disomogenea a livello globale ha frenato parzialmente l’export.
Anche sul fronte dell’inflazione emerge qualche segnale di miglioramento, con un rallentamento della crescita su base annua al 7,6% nel mese di maggio. Per avere un quadro più chiaro sarà necessario attendere nuovi dati, ma le prospettive sembrano moderatamente incoraggianti.
Le previsioni dell’Ocse e della Commissione UE
Le previsioni dei massimi esperti internazionali sull’economia italiana per il biennio 2023-24 sono relativamente confortanti, anche se non manca qualche fattore di preoccupazione.
Nei giorni scorsi l’Ocse ha diffuso l’aggiornamento del suo Economic Outlook, indicando per il Pil dell’Italia una crescita dell’1,2% quest’anno e dell’1,0% nel 2024, in marcato rallentamento dal +3,8% del 2022. I rischi per la crescita sono sostanzialmente bilanciati”, anche grazie agli elevati risparmi delle famiglie “che potrebbero trainare un rimbalzo della domanda interna più rapido” del previsto. Tuttavia, avverte l’organizzazione, “ricadute negative dalla recente turbolenza del settore bancario internazionale o ulteriori ritardi nell’attuazione dei progetti di investimento pubblico del Pnrr potrebbero rallentare la crescita”.
Qualche settimana fa, anche la Commissione Europa si è espressa sul tema, prevedendo per l’Italia una crescita dell’1,2% nel 2023 e dell’1,1% nel 2024, in lieve miglioramento rispetto alle stime invernali (+0,8% e +1,0%).