I Recovery Bond europei hanno ufficialmente compiuto il primo passo martedì 15 giugno, con un successo superiore alle (già elevate) aspettative. Il collocamento degli E-Bond decennali (chiamarli eurobond non piace a tutti in Europa) ha raggiunto i 20 miliardi di euro contro i 10 miliardi previsti. La domanda ha toccato quota 140 miliardi di euro. Grazie a questo riscontro il rendimento è sceso dallo 0,08% allo 0,06% di metà mattina.
A occuparsi della prima emissione (Isin EU000A3KSXE1) sono state BNP Paribas, DZ Bank, HSBC, Intesa Sanpaolo, Morgan Stanley, Danske Bank e Santander. Altri dieci istituti, fra cui Unicredit, Deutsche Bank e Bank of America, sono stati esclusi dal gruppo dei primary dealer a causa diverse problematiche legali emerse negli scorsi mesi.
Nel caso di Unicredit si tratta del presunto cartello formato con altre banche per il trading di bond durante la crisi del debito sovrano – per Gae Aulenti la multa inflitta dalla Commissione lo scorso maggio era di poco inferiore ai 70 milioni di euro. Bruxelles ha fatto sapere di voler lavorare solo con istituti in grado di dimostrare la propria trasparenza.
Il percorso delle emissioni dei Recovery Bond
Quello segnato il 15 giugno è solo l’inizio di un percorso che, da qui alla fine del 2026, arriverà a collocare sul mercato 800 miliardi in obbligazioni comunitarie, il 30% delle quali sotto forma di green bond.
Oltre la metà di queste risorse (406 miliardi) saranno assegnate sotto forma di elargizioni ai Paesi membri, in ragione dell’impatto subito in seguito alla pandemia. Altri 386 miliardi assumeranno la forma di prestiti dal tasso d’interesse agevolato – sarà particolarmente vantaggioso soprattutto per quei Paesi che solitamente pagano interessi elevati sulle rispettive emissioni nazionali.
Secondo i piani della Commissione europea, nella seconda metà del 2021 saranno collocati titoli comunitari legati al Recovery Fund per 80 miliardi di euro. Dal 2022 in poi si punterà a collocare mediamente 150 miliardi di euro di debito comune ogni anno.
Le scadenze dei titoli saranno assai variegate e andranno dai 3 ai 30 anni. Come chiarito dalla stessa Commissione lo scorso aprile, le emissioni si avvarranno di “un mix di aste e sindacazioni per garantire un accesso ai finanziamenti necessari efficiente sotto il profilo dei costi e a condizioni vantaggiose”.
Le obbligazioni europee del Recovery hanno un rating “tripla A” che attesta l’elevata solvibilità dell’emittente e che permetterà al blocco di ricevere denaro dagli investitori a tassi d’interesse contenuti. Sarà soprattutto il debito tedesco, in qualità di asset sicuro dell’Area euro, a entrare in confronto diretto con le obbligazioni europee – anche se il Bund decennale avrà rendimenti ancor più bassi.
“Compreremo” i nuovi titoli europei “soprattutto se offriranno un premio al rischio rilevante rispetto ai Bund”, ha affermato al Financial Times Paul Brain, responsabile per il reddito fisso di Newton Investment Management, “ma il mercato ha molte emissioni da digerire, non solo quelle congiunte del Recovery, ma anche le emissioni dei singoli governi”.
In occasione del collocamento del 15 giugno, lo spread fra l’E-bond e il Bund tedesco è stato di 26 punti base (nel frattempo lo spread Btp-bund era di circa 100 punti).
Il tasso d’interesse che l’Ue riuscirà ad applicare alle sue emissioni riguarderà da vicino anche l’opportunità per Paesi come Francia e Belgio di approfittare o meno dei prestiti collegati al Recovery: qualora la differenza fra il tasso applicato dall’Ue e quello delle emissioni nazionali fosse minima, questi Paesi potrebbero preferire il debito “di casa” – che non presenta vincoli sul relativo utilizzo.