Prima dei risultati preliminari del test avvenuto in Finlandia, un altro studio aveva suggerito come il reddito universale non avrebbe ricadute negative sull’occupazione. Perlomeno, non le ha avute in Alaska, l’unico stato che offre un dividendo permanente a tutti i suoi residenti – dal 1982.
Ricordiamolo: il reddito universale si distingue dal reddito di cittadinanza approvato in Italia in quanto non pone condizioni. Non vige nessun obbligo che vincoli i percettori a cercare un lavoro. Sarebbe legittimo, pertanto, immaginare che questo contributo disincentivi l’occupazione e incoraggi a “stare sul divano”. Un aspetto da chiarire è che ogni individuo percepisce dal dividendo dell’Alaska circa 2000 dollari all’anno (167 dollari al mese).
Nel 2018 la soglia di povertà dell’Alaska era stimata dal governo a 15.600 dollari. Insomma, il reddito universale elargito da questo stato non garantisce minimamente la sussistenza (copre il 12,8% rispetto alla soglia di povertà). Vediamo ora gli effetti sull’occupazione, secondo la ricerca.
Reddito elargito non diminuisce l’occupazione
Il working paper, pubblicato nel febbraio 2018 sul National bureau of economic research, contraddice l’ipotesi che questo denaro diminuisca l’occupazione complessiva. “Sebbene la teoria e la precedente ricerca empirica suggeriscano che i singoli trasferimenti di contante riducano l’offerta di lavoro, interpretiamo i nostri risultati come la prova che gli effetti di equilibrio generale dei trasferimenti diffusi e permanenti tendono a compensare questo fenomeno, quantomeno nel margine estensivo (ovvero nel numero delle persone che lavorano)”, scrivono gli autori Damon Jones, Università di Chicago, e Ioana Marinescu, Università della Pennsylvania.
In un comunicato, Jones ha spiegato che “le possibili riduzioni dell’occupazione sembrano essere compensate da aumenti della spesa che a loro volta aumentano la domanda di lavoratori“. In particolare, si evidenzia che la domanda aumenta verso i settori che producono beni non commerciabili con l’estero (non tradables). L’occupazione nei settori tradables diminuisce, mentre aumenta quella a tempo parziale nei settori non tradables. Nel complesso, sostengono gli autori, l’effetto del reddito universale sull’occupazione è nullo.
Per giungere alle loro conclusioni gli autori hanno utilizzato il metodo statistico di controllo sintetico, che valuta gli effetti di un provvedimento confrontando i risultati conseguiti nello stesso periodo da un gruppo di controllo che non ha adottato la stessa misura (in questo caso altri stati Usa che prima dell’introduzione del dividendo risultavano simili all’Alaska).
L’impatto di un reddito universale su vasta scala
Gli autori non hanno eluso i dubbi sull’entità modesta del reddito percepito dai cittadini dell’Alaska. Se fosse un dividendo tale da garantire la sussistenza, infatti, i risultati potrebbero cambiare. Il reddito universale percepito dalla famiglia media è appena al di sotto dei 5mila dollari, rispondono i due studiosi, “è già stato dimostrato che” importi di questo tipo, analoghi al programma di sostegno alle famiglie di 26 stati Usa (Eitc) “impattano significativamente l’occupazione”.
È vero, “questi importi potrebbero comunque essere inferiori a quelli di una politica del reddito di base universale vera e propria. Tuttavia, precedenti studi [Cesarini et al.] hanno trovato poche prove di non linearità negli effetti del reddito e, quindi, le nostre stime possono essere indicative dei potenziali impatti di un reddito di base universale su vasta scala”.
Detta altrimenti, un reddito universale più generoso non cambierebbe la sostanza del discorso. La minore propensione al lavoro, già documentata da precedenti studi, sarebbe controbilanciata a livello macro, dall’incremento dell’occupazione in certi settori. E ciò come conseguenza della domanda aggiuntiva che lo stesso reddito universale genererebbe.