Un lettore ci ha dato uno spunto interessante per un’analisi del prima e del dopo il voto sulla riforma costituzionale italiana del 4 dicembre. La persona ci chiede come mai i mercati finanziari, che si sono esposti apertamente a favore del si al referendum, non stanno colpendo a suon di speculazioni al ribasso la Borsa di Milano e i bond sovrani italiani in vista della prevista vittoria dei No (almento stando ai sondaggi e agli endorsment dei vari partiti e personalità politici.
“Non credete che gli speculatori scommettono sulla vittoria del no per poter speculare sull’instabilità che si verrebbe a creare”, si chiede. Stando ai commenti degli analisti e alle informazioni fornite dai media più attendibili, gli speculatori non stanno attaccando i mercati italiani. Lo dicono anche i numeri: Piazza Affari ha guadagnato due punti percentuali in ottobre, mentre negli ultimi 15 mesi di tempo ha perso il 30%, più delle altre piazze borsistiche Europee. Il listino Ftse MIB vale poco più di 17mila punti, sui massimi dal 9 settembre, ma se si allarga la forbice temporale si scopre che solo un anno fa quotava ben 22.270. A dimostrazione di come sia cambiato l’andamento dell’indice delle blue chip milanesi: altro che speculazioni al ribasso, è da un mese che gli investitori sono tornati a comprare titoli di società quotate italiane.
Le agenzie americane hanno già avvertito che in caso di vittoria dei No l’aumento di capitale di Mps e delle altre banche più fragili (Veneto Banca, Pop Vicenza, Banca Carige) e i piani di smaltimento dei crediti deteriorati in portafoglio potrebbero saltare, perché i piani andrebbero definiti e attuati in tempi rapidi, e il settore bancario entrerebbe in una nuova crisi.
Ma Moody’s per ora ha escluso un declassamento automatico del rating del sistema bancario italiano. Sul piano politico, se la vittoria dei No portasse effettivamente alle dimissioni di Renzi – come minimo ci sarà un rimpasto di governo, questo allontanerebbe diversi investitori esteri. Con la presumibile instabilità politica che ne deriverà, la fiducia a breve degli investitori sarebbe intaccata. Un governo istituzionale traghettatore (si parla di un Renzi-bis pro tempore) varerebbe le riforme istituzionali fondamentali, ma senza mandato elettorale non avrebbe i mezzi per dare gli choc positivi di cui economia, mercato occupazionale e sistema finanziario hanno bisogno.
Ma non è un motivo sufficiente per spingere le banche d’affari estere a vendere allo scoperto l’azionario italiano (segui live blog) come ci si potrebbe aspettare e come ipotizza il nostro lettore. Sempre sul tema delle speculazioni al ribasso sui mercati, deve anche considerare il fatto che se i Si perdono, ci sarà un periodo di instabilità che non piacerà agli investitori, ma solo sul brevissimo, scenario che è già probabilmente scontato. I grandi player di mercato si muovono sempre per tempo.
Ragionando a lungo termine, invece, si capisce che una sconfitta del governo Renzi vorrebbe anche dire una vittoria assicurata alle prossime elezioni anticipate per partiti e coalizioni dell’establishment. Il parlamento lavorerà sodo, infatti, per modificare la legge elettorale in modo da scongiurare una vittoria del M5S.
Questo perché si pensa che l’Italicum con premio di maggioranza e doppio turno garantisca la governabilità, ma quella dei Cinque Stelle – considerati da mercati e grandi investitori istituzionali come una minaccia alla sopravvivenza dell’euro. La formazione politica, seconda forza in Italia secondo i sondaggi, al secondo turno vincerebbe quasi certamente contro il PD, grazie ai voti “di protesta” anti renziani della destra e delle altre opposizioni.