Dopo anni soporiferi, la volatilità dei tassi di interesse potrebbe essere una vera e propria spina nel fianco per il mercato azionario statunitense in quanto rischia di comprometterne la stabilità. E gli investitori dovrebbero essere pronti a fare i conti con un calo del 30-40% della Borsa Usa. Sono le previsioni di Rainer Michael Preiss, direttore esecutivo di Taurus Wealth Advisors, che tuttavia non ha specificato una finestra temporale per una tale fase di correzione.
In un’intervista alla CNBC, Preiss ha specificato che le sue stime non sono pessimiste, piuttosto “realistiche”, specificando che “che siamo in una fase avanzata del ciclo” e ricordando che a essere straordinarie sono state le condizioni di compiacenza dei mercati del 2017.
Ma facciamo un passo indietro. Il fatto che ieri i rendimenti dei titoli di Stato decennali statunitensi abbiano sfiorato la soglia psicologica del 3% ha fatto scattare l’allarme sui mercati. Oggi la soglia, considerata la Linea di Maginot per i mercati, è stata raggiunta (vedi grafico qui sotto).
Questo livello viene infatti visto come un vero e proprio spartiacque in grado di condizionare il comportamento degli operatori finanziari. Quando lo scorso febbraio il rendimento del titolo benchmark superò il 2,9%, l’indice S&P 500 finì in stato di correzione (condizione definita da un calo di almeno il 10% dall’ultimo record).
Con un rendimento a questi livelli, che non si vedeva da inizio 2014, post taper tantrum, ci si chiede se alcuni investitori abbiano deciso di abbandonare il mercato azionario per investire sui titoli di Stato, finalmente redditizi dopo anni di tassi zero.
È ormai da che il mercato guarda al 3% come possibile punto di svolta per il mercato azionario. Il motivo? Quando i rendimenti dei titoli di Stato diventeranno più remunerativi delle azioni, allora titoli di Stato diventano appetibili rispetto alle azioni. Il sell-off dei T-Bond è dovuto a un aumento delle aspettative per un balzo dell’inflazione, cosa che potrebbe costringere la Federal Reserve ad alzare i tassi più delle tre volte previste in totale nel 2018.
Intanto la curva dei rendimenti si sta appiattendo: il titolo a due anni – il più sensibile a un cambiamento delle stime sulla politica monetaria Usa – ha visto i suoi rendimenti salire a passo più spedito ancora, andando a ridurre allo 0,5% il differenziale tra il rendimento di questo titolo con quello del decennale (era pari all’1,25% alla fine del 2016).
Siccome i rendimenti dei titoli a breve scadenza hanno superato quelli a lunga scadenza prima di ogni recessione da almeno 1975, gli investitori guardano con preoccupazione all’andamento della curva dei rendimenti. Il timore è che possa addirittura invertirsi. Va detto che quell’appiattimento si sta verificando mentre l’economia Usa continua a crescere.
Il rally delle Borse è dunque al capolinea? Un sondaggio di Bank of America di qualche giorno fa ha mostrato che tra i protagonisti del mercato solo il 29% è ancora sovrappesato sull’azionario, ai minimi da 18 mesi. Questo significa che la fiducia sulle Borse sta perdendo colpi. Ma soprattutto il mercato inizia a guardare con timore all’inflazione, che potrebbe costringere le banche centrali ad alzare i tassi al ritmo più veloce del previsto.