Rete Bisignani: “una macchina del fango” come la P2 di Gelli. A Dagospia il gioco piu’ sporco
Roma – Palazzo Chigi e l’Opus Dei, l’Eni e i ministri, la Rai e i giornali, le Ferrovie e i Servizi segreti: c’e’ un bel pezzo di Stato nella rete di Luigi Bisignani, il consulente aziendale e faccendiere il cui nome era nella lista della P2 trovata in casa di Licio Gelli nel 1981, condannato in via definitiva a 2 anni e 6 mesi nel 1998 per la ‘madre di tutte le tangenti’,la maxitangente Enimont, e finito nuovamente agli arresti per l’inchiesta sulla P4.
Tanto che anche l’ad delle Ferrovie dello Stato e’ indagato per favoreggiamento personale. Questo il reato per cui Mauro Moretti risulta iscritto nel registro degli indagati in procura a Napoli nell’ambito dell’inchiesta sulla P4.
La circostanza emerge dall’ordinanza di custodia cautelare emessa a carico di Luigi Bisignani. Moretti viene tirato in ballo dall’imprenditore Arcangelo De Martino, arrestato nell’ambito della cosiddetta inchiesta P3, che racconta di una denuncia che intendeva presentare per presunti illeciti a suo danno commessi da persone in Fs legate all’ad, denuncia che sarebbe stata bloccata da un intervento di Alfonso Papa.
Il top manager e’ stato ascoltato dai pm Henry John Woodcoock e Francesco Curcio, e ammette “non solo di conoscere Bisignani e Papa”, ma anche di essere stato contattato da Papa. Riferisce pero’ che si tratta di una lamentela “per il trattamento ricevuto su un treno da un controllore”.
“Appare evidente – si legge nell’ordinanza – che, mentre appare una vera e propria presa in giro l’ipotesi che un uomo come Papa potesse incomodare il Moretti per una vicenda tanto banale (e per tale ragione Moretti e’ stato iscritto a modello 21 per il delitto di cui all’articolo 378 cp), il Papa, dopo aver ‘stoppato’ la denuncia del De Martino, abbia contattato il Moretti…per vantare, per rivendicare il credito derivante dall’avvenuta surrettizia sottrazione alla cognizione dell’autorita’ giudiziaria di una vicenda che comunque avrebbe coinvolto il Moretti stesso”.
Intanto Gianni Letta, il sottosegretario, ha offerto la sua versione dei fatti. Il suo rapporto con l’uomo d’affari Bisignani è uno dei temi ricorrenti dell’inchiesta della procura di Napoli sulla cosiddetta P4 e innumerevoli sono i riferimenti emersi dagli interrogatori dei testimoni e dalle intercettazioni telefoniche.
Se ne parla a proposito di nomine ai vertici dei servizi segreti, per quanto riguarda le scelte adottate dalla Rai e la gestione di un’azienda come la Finmeccanica. Ma è stato lo stesso Letta, in una deposizione resa il 23 febbraio scorso ai pm Henry John Woodcock e Francesco Curcio, ad ammettere tale legame escludendo tuttavia ogni ipotesi di illecito. Un legame mai nascosto visto che il sottosegretario, insieme con l’ex premier Lamberto Dini, è stato testimone di nozze di Bisignani.
“Bisignani è persona estroversa, brillante e ben informata, ed è possibile che qualche volta dica più di quel che sà”, riferisce ai pm. “Con Bisignani intrattengo rapporti di amicizia che io gestisco in modo istituzionale e corretto come ogni altro. E’ amico di tutti, Bisignani è l’uomo più conosciuto che io conosca. Bisignani è uomo di relazioni”.
I magistrati, sulla base di alcune intercettazioni in loro possesso, chiedono al sottosegretario chiarimenti intorno alla conoscenza da parte di Bisignani di informazioni riservate su indagini in corso. “Non escludo – risponde Letta – che Bisignani mi abbia potuto dire che era oggetto di attenzioni da parte dell’autorità giudiziaria: sicuramente non mi ha detto che era intercettato e che era Woodcock che lo intercettava. Posso aver detto a Bisignani di non parlare troppo al telefono, visto che lui è piuttosto facondo”.
Poi si sofferma sulla “genesi” del rapporto con l’ex giornalista: “Ho conosciuto Bisignani quarant’anni fa, dal momento che il padre era molto amico del mio direttore del Tempo Angiolillo, poi ho conosciuto la madre, poi il fratello Giovanni e poi anche Luigi che cominciò a fare il giornalista con Libero Palmieri che aveva iniziato anche me al giornalismo; poi fece carriera e diventò caporedattore dell’Ansa di Roma; Bisignani fu portavoce e addetto stampa di Stammati; io sono stato testimone di nozze, unitamente a Dini, di Luigi Bisignani”.
I magistrati insistono su un’altra vicenda emersa da una conversazione intercettata, ovvero la presunta partecipazione a una cena con Bisignani e a un componente neoeletto della Consulta. ‘Non ho mai cenato con Bisignani e il procuratore generale di Roma, tanto meno per festeggiare il nuovo giudice della Corte Costituzionale Lattanzi, che ho conosciuto solo al Quirinale al momento del giuramento”, ha tagliato corto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio.
Anche uno dei legali di Bisignani, parlando oggi con i giornalisti al termine dell’interrogatorio di garanzia davanti al gip, ha chiarito i retroscena di un incontro. Bisignani avrebbe conversato col sottosegretario una volta dopo che ‘Il Fatto Quotidiano’ aveva dato la notizia relativa a una presunta indagine su Letta. “E poiché Bisignani lavorava per una società che stampava ‘Il Fatto’ fu tutt’uno parlarne con Letta”, ha detto l’avvocato Giampiero Pirolo.
“Le vicende delle quali parla Bisignani – ha aggiunto il penalista – erano già note e se ne parlava da tempo sui giornali”. Sulla vicinanza tra Letta e Bisignani si registra anche la testimonianza di Lorenzo Borgogni, direttore delle relazioni esterne di Finmeccanica. “Bisignani si muoveva e veniva individuato come l’uomo di Letta”, ha affermato Borgogni. “Credo che il grande potere del Bisignani – ha aggiunto – scaturisca dal suo forte legame con Gianni Letta”.
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SE L’ERANO scritto da soli l’Undicesimo comandamento. Si declinava così: “Il possesso d’informazioni genera potere”.
Lo pensava già Licio Gelli. Lo ricopiano loro. E lì s’incardina, trae linfa e s’accresce la “macchina del fango”. Con un faro puntato su palazzo Chigi e sugli uomini di Berlusconi. Esso regola ogni passo della loro giornata e della loro vita.
È il grimaldello per giustificare lo spregiudicato obiettivo di penetrare all’interno dello Stato, sia la magistratura, le polizie, gli 007, o nelle imprese pubbliche e private, o nella la stampa. Tutto è piegato ad esso. Solo per questo lavorano la mente Luigi Bisignani, uomo di loggia di lungo corso, e Alfonso Papa, la toga asservita, solerte, ma vittima del suo debordante debole “per le femmine”. Che, senza soldi, è costretto a farsi pagare da altri. I pm Francesco Curcio ed Henry John Woodcock definiscono quell’Undicesimo comandamento “un’evidenza solare”. Si traduce in quattro, semplici mosse: “Acquisire indebitamente notizie, intimidire, blandire, poi passare al ricatto e alla richiesta di favori”.
Uno scenario devastante e del tutto privo di scrupoli. “Un vero e proprio sistema criminale, illegale e surrettizio” scrivono i due pm, quasi increduli perfino loro, pur dopo un anno di indagini, di intercettazioni, di interrogatori. Nel quale si accumulano i racconti delle vittime, degli imprenditori finiti “in uno stato di soggezione”, nel mirino degli ultimi eredi del “metodo” Gelli. I De Martino, i Gallo, i Fasolino, i Petrillo, i Boschetti, i Casale. Per tutti la stessa tecnica pesante e ormai rodata, raggiunti sul cellulare da un sedicente poliziotto o carabiniere, “intimiditi” da un possibile interrogatorio, “minacciati” da un imminente arresto, blanditi da un’offerta di protezione, coinvolti e sporcati con una richiesta di “prestazioni” per migliaia di euro.
Un metodo che in tutto e per tutto assomiglia a quello della mafia. Che ti avvicina, ti macchia, alla fine ti si prende. Questo faceva Papa che poi correva a informare Bisignani. Lui, un magistrato, uno che aveva lavorato al ministero della Giustizia, un parlamentare. Corrompeva per strappare le indiscrezioni sulle inchieste, le passava a Bisignani, chiedeva favori per sé.
Una “filiera criminosa”, la mente e il braccio. Che una parola d’ordine se l’erano data: “infangare”. Curcio e Woodcock la decrittano come la manovra che consenta loro “di esercitare indebite pressioni su esponenti delle istituzioni”. E citano i due casi più clamorosi che hanno sotto mano, quello del procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini e del vice presidente del Csm Michele Vietti. Per la prima si distorce su un vecchio incidente del figlio. Per il secondo si specula su una cena.
Il metodo Boffo assurge a regola di comportamento. Aspira ad istituzionalizzarsi. Conta ormai su precedenti che fanno scuola, i calzini azzurri del giudice Mesiano, la casa di Fini Montecarlo, il dossier sul fidanzato della Boccassini. Investigare, raccogliere, sporcare, ricattare, delegittimare, condizionare, cacciare via. Diventa “un sistema davvero perverso”. Gestito da quelli che Curcio e Woodcock definiscono “veri e propri “mercanti in nero” di notizie e di informazioni segretate e riservate”.
Mercanti pericolosi, “ben consapevoli dell’enorme potere che può discendere dalla disponibilità e dalla strumentalizzazione, intesa come uso distorto, delle medesime notizie e delle informazioni sensibili”.
La macchina del fango punta a far suo lo Stato. I magistrati fotografano “l’indubbia capacità di Bisignani di condizionare organi, enti, istituzioni che svolgono un ruolo centrale nella vita di uno Stato democratico”.
La loggia si fa essa stessa Stato. Non lo teorizzano Curcio e Woodcock, ma citano centinaia di trascrizioni di conversazioni telefoniche in cui emergono “i rapporti tra Bisignani e la Rai, tra Bisignani e l’Eni, tra Bisignani e gli organi di informazione, tra Bisignani e la presidenza del Consiglio, con membri del governo, con parlamentari, tra Bisignani e i vertici del mondo bancario”. La loggia lavora così: i suoi componenti si associano col fine di “condizionare” lo Stato.
L’arma utilizzata è sempre la stessa, un sistema “costante negli anni”, ormai sperimentato. Identico a se stesso. Il “depistaggio”. I due pm la definiscono come “una ben organizzata e sistematica attività di inquinamento, di vero e proprio depistaggio, espletata nelle più delicate e complesse vicende processuali che hanno dominato e caratterizzato la storia giudiziaria degli ultimi anni”. Guardano a Napoli, Curcio e Woodcock, ma non solo. Vedono quel “mercato parallelo di notizie e di informazioni” che aveva nella toga infedele Alfonso Papa un suo puntello quotidianamente in azione.
Vero e falso si mescolano, un sistema che affonda nei lontani dossier degli anni Novanta contro Antonio Di Pietro. Allora tutti sospettavano che fosse Cesare Previti a muoverli e architettarli. Ruieccoli adesso, per come li hanno ricostruiti i pm di Napoli, ecco “l’indebita propalazione e la commistione di notizie vere, illecitamente attinte da fonti giudiziarie, con quelle verosimili, se non addirittura in qualche caso false”. Alla fine l’obiettivo, tutto politico, interamente finalizzato a favorire chi siede a palazzo Chigi, è “destabilizzare il sistema”, è creare “un gravissimo vulnus al sistema giudiziario”. Ma è soprattutto “influenzare il funzionamento delle istituzioni dello Stato”
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“Così Bisignani usava Masi e la Rai”
Nelle carte dei pm le trame del faccendiereI documenti dell’inchiesta P4: la battaglia di Mauro Masi, ex direttore generale della Rai, per il licenziamento di Santoro, il ruolo di Dagospia, i rapporti con i quotidiani
di CARLO BONINI
SCRIVONO i pm Greco e Woodcock: “Conoscere e avere informazioni che altri non hanno è la premessa indispensabile per esercitare il potere”. Manipolarle per farne un uso ricattatorio, per piegare e condizionare la volontà di dirigenti pubblici, capitani d’industria e uomini politici, per intimidire magistrati, era il lavoro di Luigi Bisignani. Della sua “macchina del fango”. Come del suo capillare sistema di relazioni nei media, in un perimetro definito dalla Rai di Mauro Masi, dal sito Dagospia, dal quotidiano il Giornale.
LA RAI DI MASI
Se a Dagospia, come vedremo, è lasciato il lavoro sporco, l’ex direttore generale della Rai, Mauro Masi – “lo dimostrano decine e decine di conversazioni intercettate”, osservano i pm – lavora “in chiaro”. In piazza Mignanelli (l’abitazione di Bisignani) si decide. Lui, Masi, ci mette la faccia. “Bisignani – dice – è persona vicina alla mia famiglia e gli riconosco grandi capacità”.
E così, quando i pm lo ascoltano, decide di far tracimare il pozzo nero di cui è stato custode. “Giovanni Minoli? Mi era stato segnalato da Gianni Letta come responsabile delle attività Rai per i 150 anni d’Italia e mi veniva segnalato quotidianamente anche da Giuliano Amato, presidente del comitato dei garanti per le celebrazioni”. “Massimo Liofredi (ex direttore di Rai2)? Proteggeva la giornalista Monica Setta, per la verità insieme a tanti altri, che io non volevo rinnovare e non ho rinnovato”. “Anche per la giornalista Anna La Rosa mi ha telefonato tutto l’arco politico-istituzionale, compreso Bisignani, sponsorizzandola ai servizi parlamentari”.
E ancora: “Bisignani mi mise in contatto con Capezzone (Daniele, portavoce del Pdl)”, “Bisignani ha ottimi rapporti con Ferruccio De Bortoli (direttore del Corriere della Sera)” . “Usavo Bisignani per sondare Gianni Letta e dunque il “clima politico””. In verità, era Bisignani che usava Masi, come lui stesso riconosce quando gli viene chiesto conto della lettera di licenziamento di Michele Santoro. Scritta da lui, ma preparata dal faccendiere: “In effetti, non escludo di aver chiesto a Bisignani di sondare Letta sul licenziamento”.
“Troppi schizzi di fango, compresi quelli che ci ha tirato addosso l’ex direttore generale. Voglio che la Rai sia trasparente e ne esca pulita”, dice ora il presidente dell’azienda Paolo Garimberti. Ma il problema – con 10 mila fogli di allegati dell’inchiesta ancora da depositare – è che questa storia sembra appena cominciata. Come dimostra un altro capitolo di quest’affare: Dagospia.
DAGOSPIA E “L’AMICO ROBERTO”
Nel circuito asfittico e autoreferenziale dei palazzi della politica, dell’informazione, dei colossi a partecipazione pubblica (Eni, Ferrovie), degli apparati, la micidiale arma di cui Bisignani dispone, perché capace di ammansire le sue vittime e orientare la “grande stampa”, è Dagospia. Racconta ai pm Bisignani: “Sono molto amico di Roberto D’Agostino (il fondatore del sito, ndr), che ha sposato Anna Federici, figlia di un amico di Andreotti. Credo di avere un certo ascendente su D’Agostino con cui avevamo in comune l’amicizia con il presidente Cossiga. E sicuramente sono stato io a suggerire all’Eni di fare pubblicità su Dagospia (100 mila euro l’anno)”.
“Dago” è il suo giocattolo (capita che le ambientali lo intercettino mentre istruisce il ministro Prestigiacomo a connettersi on line) e, non a caso, è scelto per veicolare il “meglio” che la sua rete raccatta. Il fango sul vicepresidente del Csm Vietti, un paio di affondi sulla Elisa Grande (la dirigente che, abbiamo visto, non si mette sull’attenti con la Santanché), il tormentone sulla relazione tra Italo Bocchino e il ministro Carfagna (“Vi dico – racconta ai pm un divertito Bisignani – che la fonte principale del gossip è la moglie di Bocchino”), perché il deputato di Fli sia costretto a chiedergli una tregua. In una telefonata (“Senti, l’amico Roberto si sta proprio a comportà da merda”. “Ma cosa da pazzi, vabbé, cerco di…”, risponde peloso il faccendiere).
“IL GIORNALE”, “LIBERO” E LA SANTANCHÉ. “IL ROMA”
Dice ancora Luigi Bisignani: “Non avevo grandi rapporti con il Giornale e con Sallusti (il direttore, ndr) per via della Santanché (Daniela, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ndr) e della politica che il Giornale faceva contro Fini”. E tuttavia, concede, “Gianmarco Chiocci (cronista giudiziario del quotidiano, ndr), veniva spesso da me, soprattutto perché voleva cambiare testata”. Era “utilizzato come informatore giudiziario”, chiosano i pm.
È un fatto che il Giornale veicola nel gennaio scorso l’aggressione al pm Ilda Boccassini di cui lo stesso Bisignani discute pochi giorni prima al telefono con il deputato pdl Michaela Biancofiore. Ed è un fatto che ad aggiungere un dettaglio sui rapporti tra il faccendiere piduista e il quotidiano, è Elisa Grande, dirigente della Presidenza del Consiglio responsabile per i contributi pubblici alla stampa. Interrogata dai pm, racconta: “Tra la fine del 2009 e l’inizio del 2010, Bisignani mi presentò la Santanché. Aveva a che fare con la concessionaria “Visibilia”, che raccoglieva pubblicità per il Giornale, e si lamentava perché i miei uffici non compravano inserzioni dalla sua società, cosa per altro non vera”.
Bisignani dunque si spende perché la Santanché possa raccogliere pubblicità istituzionale da palazzo Chigi. Ma, come lui stesso ammette, aveva fatto lo stesso quando, tempo prima, la Santanché lavorava come semplice broker pubblicitario per Libero, degli editori Antonio e Gianpaolo Angelucci. “La aiutai a stringere i rapporti con gli Angelucci. Quindi, la presentai a Lucchini dell’Eni, a Comin dell’Enel, alla Giorgetti di Poste Italiane, che mi risulta abbiano dato pubblicità a “Visibilia”. Poi, quando Feltri passò a dirigere il Giornale i rapporti tra la Santanché e gli Angelucci si incrinarono e io mi schierai con gli editori di Libero”. Il Giornale, Libero e non solo. “Parlai con Italo Bocchino dei finanziamenti pubblici legati al giornale Roma, di cui lui o la sua famiglia era editrice”.
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