Ci sono voluti circa quattro anni e mezzo, ma alla fine, lo scorso 31 gennaio 2020, la Brexit è diventata una realtà. Un processo lungo, non privo di ostacoli, che fino alla fine ha fatto temere un no deal, ovvero l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea senza accordo.
Tutto inizia il 23 giugno 2016 con il referendum per l’uscita del Regno Unito dall’Ue: a prevalere sono i favorevoli all’uscita, i ‘Leave’, con il 52%, rispetto al 48% dei ‘Remainer’.
Un risultato che spinge l’allora premier conservatore, David Cameron, che aveva indetto il referendum e guidato la campagna per il ‘Remain’, ad annuncia le sue dimissioni.
Brexit, la parabola di Theresa May
A luglio 2016 Theresa May conquista la leadership Tory e diventa nuovoprimo ministro. L’euroscettico Boris Johnson è il ministro degli Esteri.
Bisognerà aspettare il 29 marzo 2017 per avere una svolta decisiva nella vicenda. È allora che May invia al presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk la lettera che fa scattare l’Articolo 50. Si fissa inoltre al 29 marzo 2019 la data per l’uscita dall’Ue. Seguono mesi difficili sul fronte interno, che terminano con l’annuncio da parte di Theresa May delle elezioni anticipate.
Alle elezioni, che si terranno l’8 giugno 2017, il Partito Conservatore perde la maggioranza: per rimanere alla guida del governo May è costretta a trovare un accordo con gli unionisti nordirlandesi.
Dopo mesi in cui May tenta di delineare un accordo, l’8 luglio 2018 arrivano le dimissioni del ministro per la Brexit David Davis, il giorno dopo quelle di Johnson seguito da altri. In totale in 18 lasciano entro l’anno.
Qualche mese dopo, il 25 novembre 2018, il Regno Unito e l’Ue raggiungono un accordo sui termini per l’uscita di Londra dall’Ue, che deve essere approvato da Westminster e dal Parlamento europeo. Ma l’accordo non convince.
Criticata per il suo accordo sulla Brexit, il 13 dicembre 2018 May è costretta a promettere le dimissioni prima delle elezioni. Il mese dopo, il 15 gennaio 2019, il governo perde il primo voto a Westminster sulla Brexit, è la peggiore sconfitta parlamentare nella storia.
Obbligata dal parlamento, a marzo dello stesso anno May chiede all’Ue una proroga fino al 30 giugno. L’Ue offre due date: il 22 maggio se l’accordo è approvato, altrimenti il 12 aprile.
Ma anche la scadenza non viene rispettata. May chiede un altro rinvio, i leader Ue ne accordano uno “flessibile”, fino al 31 ottobre, ma se l’accordo viene approvato Londra può decidere di lasciare prima.
Il 23 maggio 2019 si tengono anche nel Regno Unito le elezioni europee. Il giorno successivo May annuncia fra le lacrime le sue dimissioni da Downing Street.
Entra in campo Boris Johnson
Due mesi dopo, Boris Johnson diventa leader del partito Conservatore, entra a Downing Street da primo ministro.
Dopo alterne vicende, tra cui la sospensione del parlamento britannico per circa una mese, il 19 ottobre 2019. Johnson è costretto a chiedere a Bruxelles un altro rinvio. L’Ue lo concede, fino al 31 gennaio.
Nello stesso mese, la House of Commons approva la data del 12 dicembre per le nuove elezioni. Dalle urne esce una netta maggioranza per i conservatori di Boris Johnson. È il 23 gennaio 2020 quando il testo di legge per il divorzio di Londra dall’Ue diventa legge. Nello stesso mese, il parlamento europeo lo approverà. Segue un anno di negoziati difficili per definire il post-divorzio, che sarà trovato last-minute il 24 dicembre 2020.
Dopo circa un anno di transizione, il 31 gennaio 2020 il Regno Unito lascia ufficialmente la Ue alle 23 di Londra, la mezzanotte nell’Europa centrale.