NEW YORK (WSI) – Il mondo di oggi gira troppo velocemente per poter riuscire a fare delle previsioni corrette sul futuro. Tuttavia, un modo migliore per guardare a ciò che ci aspetta sarebbe quello di mettere in evidenza alcune delle forze che contribuiscono a delineare il paesaggio globale.
Secondo alcuni, scrive il Financial Times, il mondo sta diventando ancora più ricco. E’ vero, l’Europa potrebbe rimanere intrappolata nella crisi dell’euro e gli Stati Uniti sono in uno stallo politico, ma il costante aumento della produzione globale sta trasformando le opportunità di vita di miliardi di persone. Ci sono molte opportunità in vista, infatti, sia per l’Occidente che per il resto del mondo, riporta un editoriale del Financial Times.
Nel giro di un paio di decenni, poi, una frazione del mondo ancora prevalentemente povera potrebbe entrare a far parte della classe media. Messico, Indonesia, Vietnam, Brasile, Turchia e altri ora hanno preso il posto che una volta era della Cina e dell’India. Gli investitori, inoltre, stanno riscoprendo l’Africa, allo stesso modo in cui scoprirono l’Asia e l’America Latina. Così, entro il 2020 o poco più, un altro miliardo di consumatori potrà unirsi alla fascia della classe media.
In aggiunta a ciò, la resilienza della Cina di fronte a questa agitazione economica globale supporta chi sostiene i benefici ed i vantaggi di un modello alternativo.
Ad ogni modo, sebbene non ci sia una grande esaltazione delle istituzioni in stile occidentale, queste nuove popolazioni benestanti richiedono lo stato di diritto, il rispetto della dignità umana e della libertà individuale. Inoltre, la corruzione è vista come il nemico assoluto.
Egitto a parte, infatti, i colpi di stato militari sono quasi passati di moda. Parti dell’Africa stanno assistendo a delle pacifiche transizioni costituzionali, mentre l’America Latina ha iniziato a scrollarsi di dosso il populismo di sinistra.
Insomma, la precisa simmetria tra la guerra fredda e la breve parentesi di unipolarismo, è stata ora sostituita da un mosaico frammentato di potere globale.
Alcune circostanze ad alcune scelte infatti hanno eroso la capacità e la volontà dell’America di agire in qualità di garante dei beni comuni globali. Alcune di queste circostanze si sono presentate sotto forma di sfida all’egemonia statunitense: dall’ascesa della Cina e di altri Paesi, alle pesanti lezioni apprese in Iraq e in Afghanistan. Le scelte, invece, sono state attuate sotto forma di stanchezza per la guerra, di vincoli di bilancio e di avvicinamento all’autosufficienza energetica. In questo modo tutti hanno contribuito da più parti a smorzare l’entusiasmo degli Stati Uniti nel risolvere i problemi altrui.
Il punto è che gli Stati Uniti rimangono sempre il potere che conta più di tutti nel mondo, allo stesso tempo però, Washington non ritiene più che tutti siano importanti.
Una conseguenza di questo quindi è stata la graduale erosione del sistema globale del dopoguerra. Geo-economia e geopolitica sono andate in diverse direzioni. L’integrazione economica è proseguita a ritmo sostenuto. Sul versante geopolitico invece, c’è ben poco desiderio di una maggiore governance globale.
Gli Stati Uniti non percepiscono più quella positiva coincidenza tra gli interessi nazionale ed i più ampi interessi internazionali, prevista dal dopoguerra. L’Europa ha rinunciato all’idea che il suo modello unico di integrazione possa essere esportato al di là della propria area. A Washington ora si preferisce un multilateralismo.
La guerra in Medio Oriente, la tensione in Oriente e nei mari del sud della Cina e i cambiamenti climatici quindi, costituiscono una serie di cause, evidenti agli occhi di tutti, per un possibile conflitto in questo mondo così disorganizzato. Il che lascia spazio ad una domanda: come si comporterà la Cina? Molte cose lasciano intendere che Pechino approfitterà di questa frammentazione della sicurezza globale per espandersi. Ma sarà realmente così?