ROMA (WSI) – I grandi soldi vanno sulle società quotate e l’Italia non è ai primi posti. Parla così Francesco Trapani che dopo 30 anni nel mondo del lusso con Bulgari prima e Lvhm poi, è diventato uno degli azionisti più rilevanti di Tiffany con il 5 per cento nelle sue mani.
Nel corso di un’intervista all’inserto Corriere Economia, l’imprenditore italiano parla del settore del lusso dove alcuni marchi vivono un momento di grande fermento e altri invece di crisi.
“Finché l’economia progredisce, e quindi ci sono persone le cui disponibilità finanziarie aumentano, i prodotti e i servizi di lusso continueranno a crescere: è un consumo connaturato al successo delle persone. Ma il mercato è divenuto molto complesso. Quando ho iniziato io si doveva avere successo in alcuni Paesi dell Europa occidentale, negli Stati Uniti e in Giappone. Oggi, invece, se vuoi essere un attore globale devi avere una grande esposizione in Europa, in Medio Oriente, che è un’area complicata, in Asia, che lo è altrettanto, e poi nelle Americhe, non solo gli Usa. È un mercato grandissimo dove ci sono operatori enormi che hanno tanti soldi e una grande qualità del management. Un settore che è diventato meno adatto di prima all’improvvisazione, alla mancanza di processo o di strategia”.
Per Trapani, l’Italia non ha probabilità di creare un suo polo del lusso, sottolineando anche che nonostante sia italiano, il nostro paese ha un peso molto piccolo nei suoi investimenti, non più del 5%.
“Ritengo che sia poco realistico, a meno che non ci siano un paio di grandi aziende indipendenti, delle poche rimaste, che si fondano tra di loro. Io con Bulgari ci avevo provato, avevo parlato con molti in Italia, senza risultati. Il vero punto è che, se una di queste aziende viene messa in vendita, è impensabile che i grandi gruppi se la facciano scappare (…) I grandi soldi vanno sulle società quotate e l’Italia non è ai primi posti. Prima si guarda agli Stati Uniti, poi al Regno Unito, alla Germania, alla Francia, in parte all’Asia, anche se è più difficile, e in parte alla Svizzera. Investo in tecnologia in maniera importante, quindi negli Stati Uniti. Poi nel lusso, ma penso ai grandi gruppi come Tiffany; in Italia non mi sentirei sicuro a investire senza poter avere “le mani in pasta”. L’Italia viene fuori, invece, quando si parla di piccole aziende innovative. Per esempio, ho rilevato il 59% di Eurofiere, fondata da un ragazzo bravissimo, così come sono bravissimi i fondatori di Foodation. Ma stiamo parlando di scale molto più piccole. Diciamo che in Italia sono un investitore attivo, mentre negli altri casi sono un investitore puro, con l’eccezione di Tiffany perché è una società di cui conosco in dettaglio punti di forza e punti di debolezza essendo stata per anni un mio competitor”.