Economia

Riduzione dell’Iva, il governo si divide

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L’Iva è una delle imposte più importanti nella composizione del gettito fiscale: ridurla anche di pochi punti è molto costoso e il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, non sembra del tutto convinto che abbassarla, per rilanciare i consumi che sono stagnanti anche dopo la riapertura dei negozi, sia una strada praticabile.
A mostrare un certo scetticismo ieri (22 giugno) era stato anche il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, secondo il quale per la riduzione delle tasse serve una “visione d’insieme” e non “imposta per imposta”.

Secondo i calcoli della relazione allegata al decreto Rilancio ciascun punto di riduzione all’aliquota principale (attualmente al 22%) provocherebbe un ammanco di gettito pari a 4,3 miliardi. Per la riduzione dell’aliquota ridotta al 10% il costo per ciascun punto sarebbe di 2,9 miliardi.
Il fondamento logico della riduzione dell’Iva sarebbe quello di incoraggiare la ripresa dei consumi, in quanto tale imposta va a “rincarare” il prezzo d’acquisto per qualsiasi prodotto.

Le entrate generate dall’imposta sul valore aggiunto, tuttavia, pesano per il 27% del gettito erariale complessivo. Secondo quanto affermato ieri da Conte, infatti, la riduzione dell’Iva resta solo “un’ipotesi”, anche perché, ha ammesso il premier, sarebbe una misura “costosa”.

Riduzione dell’Iva solo per i pagamenti con carta

Sempre nel campo delle possibilità, inoltre, è stata avanzata l’idea di adottare il taglio dell’Iva in modo selettivo per gli acquisti effettuati attraverso pagamenti tracciabili (non in contanti, dunque): “Sarebbe una modalità incentivante, dolce e gentile per attivare il piano di pagamento digitale. Su questo sono testardo”, aveva dichiarato Conte. Secondo indiscrezioni di stampa, tuttavia, il ministro dell’Economia Gualtieri sarebbe ben poco propenso a percorrere questa strada.
Più in generale, l’idea di abbassare l’Iva convince di più il M5s, mentre lascia perplessi Italia viva e Partito democratico.

Il progetto, com’è noto, è emerso nel corso dei confronti tenuti presso Villa Pamphilij con le parti sociali. Unimpresa, fra le associazioni a favore del taglio, ha sostenuto che bisognerebbe investire “almeno 12 miliardi” per ridurre l’aliquota ordinaria al 19% – altrimenti i benefici sarebbero minimi. Fatte le proporzioni con il Pil del 2019, una misura del genere aumenterebbe, da sola, il deficit di 0,67 punti percentuali.

L’Iva nel resto d’Europa

In Europa le imposte sul valore aggiunto variano sensibilmente da un Paese all’altro: si va dal 17% del Lussemburgo al 27% imposto in Ungheria (ove tale prelievo viene compensato da una bassa tassazione diretta). Solo cinque Paesi membri, tuttavia, impongono un’Iva al di sotto del 20% – fra questi la Germania. In sintesi, la tassazione sul valore aggiunto italiana non risulta superiore alla media europea.