Dopo anni di attesa e annunci, potrebbe vedere la luce entro quest’anno la tanto agognata riforma del catasto che dovrebbe essere inserita nella più ampia riforma fiscale. Una riforma catastale molto agognata visto che fotografa un mercato di fine anni ’80, ormai obsoleto e poco rispondente alla realtà.
Da allora difatti di acqua sotto ponti ne è passata in abbondanza e il mercato immobiliare è profondamente cambiato con città e quartieri in cui i prezzi sono cresciuti o diminuiti. Secondo indiscrezioni varie, il premier Mario Draghi presenterà entro fine mese la riforma catastale in versione più light in cui intento è di fare solo un primo passo sul catasto inserendo nella delega dei principi ispiratori che si limitino ad indicare la direzione verso la quale l’esecutivo vuole andare. Fulcro della riforma sarebbe quello di rivalutare le vecchie rendite catastali ai valori di mercato e passare dai vani ai metri quadri. Ma le conseguenze sono enormi e tutte sulle tasche degli italiani.
Il passaggio dalla valutazione delle vecchie rendite catastali ai valori di mercato, così come quello dai vani ai metri quadri, si traduce con l’aumento dell’Imu sulle seconde case e un Isee gonfiato che porterebbe tanti contribuenti ad uscire dalla platea dei beneficiari attuali di vari bonus e aiuti sociali. Senza dimenticare anche il possibile rincaro della Tari, la tassa rifiuti che si valuta sull’80% della superficie catastale lorda dell’abitazione (mura perimetrali comprese). Ma andiamo per ordine,
Riforma del catasto: i rincari per Imu, Isee e Tari
A voler semplificare, come spiega anche Il Giornale, la riforma catastale targata Draghi potrebbe portare con sé la rivalutazione dei valori catastali, col passaggio dalle rendite ai valori medi di mercato, il passaggio nel calcolo del valore dell’immobile dai vani ai metri quadri e una semplificazione delle categorie catastali, non più signorili, civili, economiche e popolari (rispettivamente A1, A2, A3, A4), ma solo immobili ordinari (O) e speciali (S).
Una riforma globale che avrebbe in primis un forte impatto sull’Imu sulle seconde case che si alzerebbe e di parecchio. Secondo i calcoli de Il Giornale, “considerando un appartamento in zona semicentrale e di ampiezza media, a Roma si passerebbe da 2mila a 5.640 euro l’anno (incremento del 183%), a Trento da 700 a 1.300 euro (+189%), a Milano da 1.800 a 4 mila euro (+123%). Solo a Genova, Ancona e Trieste i ritocchi verso l’alto sarebbero contenuti tra il 5% ed il 7%”.
Ma non solo IMU seconde case. La revisione delle rendite catastali farebbe lievitare il peso che la prima casa può avere nel calcolo dell’Isee, l’indicatore della situazione economica equivalente, il documento necessario e imprescindibile per ottenere detrazioni, sconti e aiuti tra cui anche il reddito di cittadinanza.
Infine la Tari, la tassa sui rifiuti. La tassa, ex Tarsu, si valuta sull’80% della superficie catastale lorda dell’abitazione e con il passaggio da vani a metri quadri potrebbe subire un incremento netto. Ancora pochi Comuni hanno effettuato le revisioni di queste superfici imponibili, basando il totale della Tari sulle autodichiarazioni dei rispettivi proprietari, che senza un correttivo verrebbero tutte rimesse in discussione.
Riforma catastale e la riduzione dell’evasione fiscale
Ma a parte questi aumenti, il merito della riforma catastale di Mario Draghi sarebbe quello di contribuire a ridurre l’evasione fiscale sugli immobili. La mossa del governo riflette anche le continue pressioni da parte dell’Unione europea circa una verifica sull’effettivo ammontare del gettito che potrebbe derivare dall’immenso patrimonio immobiliare italiano. Sono ormai sei anni che Bruxelles chiede all’Italia di adeguare il valore dichiarato degli immobili rispetto a quello del mercato considerando, dati alla mano, che tra Imu, affitti in nero e case fantasma l’evasione fiscale sugli immobili in Italia supera i 6 miliardi di euro. A guidare la classifica degli illeciti sul mattone è proprio l’Imu che se fosse pagata da tutti porterebbe nelle casse erariali 4,8 miliardi in più ogni anno. È il risultato della differenza tra l’Imu teorica con l’aliquota base del 7,6 per mille, che per le stime Mef ammonterebbe a oltre 18,8 miliardi, e l’Imu effettiva ad aliquota standard, che si ferma a 13,9 miliardi. Nel conto entrano poi i 266 milioni di Tax Gap della Tasi e i 695 milioni di mancata Irpef per le locazioni non dichiarate dai proprietari.
La percentuale media di evasione in Italia ammonta quindi al 25,8%. Il dato non è uniforme sul territorio nazionale con differenze molto marcate da regione a regione. In Emilia Romagna l’evasione è al 15% mentre in Calabria vola al 46,3%.