Il prossimo 27 luglio il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, si confronterà con le parti sociali per discutere della riforma delle pensioni che potrebbe essere introdotta dopo l’esaurimento di Quota 100.
Da parte del governo Draghi, infatti, non c’è alcuna intenzione di rinnovare la finestra biennale, che si era aperta con il governo gialloverde, e che permetterà fino al termine dell’anno di andare in pensione sin dai 62 anni con 38 anni di contributi previdenziali versati.
Oltre ai sindacati, anche diverse anime politiche dell’esecutivo sarebbero poco inclini a lasciare così com’è la legge Fornero senza introdurre nuovi correttivi al posto di Quota 100. In particolare, la Lega e il Movimento 5 Stelle sarebbero intenzionati a varare nuovi provvedimenti, ma anche all’interno del Partito democratico il ritorno della “Fornero” senza scappatoie sarebbe uno scenario poco apprezzato.
Eppure, la stessa Elsa Fornero è stata da poco richiamata fra gli esperti vicini a Palazzo Chigi: il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Bruno Tabacci, l’ha voluta inserire fra i consulenti del Comitato d’indirizzo per la politica economica.
Riforma pensioni, le opzioni sul tavolo
Il punto di partenza condiviso delle trattative, in vista dell’appuntamento del 27 maggio, è la necessità di rafforzamento delle tutele per i lavoratori impiegati in settori usuranti e gravosi, a partire dall’estensione dell’Ape sociale – che si rivolge proprio a queste categorie.
Fra le altre opzioni del dopo Quota 100 una delle più trasversali, appoggiata dai sindacati, dalla Lega e dal M5s è Quota 41. Quest’ultima consentirebbe il pensionamento con 41 anni di contributi a prescindere dai requisiti anagrafici. Secondo le simulazioni dell’Inps, tuttavia, questa sarebbe una delle soluzioni più onerose fra quelle finora ipotizzate: costerebbe 4,3 miliardi nel primo anno, fino ad arrivare a 9,2 miliardi al decimo anno dall’introduzione.
Inoltre, sindacati, Lega e M5s sono tutti orientati al mantenimento di una opportunità di pensionamento anticipato a partire dai 62 anni. Verosimilmente, però, i requisiti o gli oneri si faranno più stringenti rispetto a Quota 100. Si ipotizzano, ad esempio un’uscita a partire dai 64 anni di età con 36 di contribuzione – a patto di accettare un assegno calcolato esclusivamente con il meno generoso sistema contributivo; e ancora, a partire da 64 anni e 20 di contributi, con un importo minimo pari almeno a 2,8 volte l’assegno sociale.
Entrambe queste soluzioni sarebbero nettamente meno costose per il contribuente rispetto a Quota 41, con un esborso stimato pari a 1,2 miliardi nel primo anno, fino a un massimo di 4,7 miliardi al sesto anno.