ROMA (WSI) – Dalla flessibilità in uscita per superare le rigidità della legge Fornero agli esodati; dalla cosiddetta «staffetta generazionale» a un nuovo contributo di solidarietà per le «pensioni d’oro» dopo la bocciatura della Corte costituzionale: sono i dossier più caldi sulla previdenza che il governo si troverà ad affrontare dopo l’estate.
«Abbiamo deciso di rinviare a settembre, quando discuteremo anche con il Parlamento, eventuali modifiche alla legge sulle pensioni», ha spiegato nei giorni scorsi il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, facendo riferimento alle proposte di legge già presentate alle Camere, come quella del Pd (primi firmatari Damiano-Baretta-Gnecchi) che mira a consentire di andare in pensione anche prima dei 66 anni con una penalizzazione nell’assegno mensile.
«Ma attenzione a non perdere di vista i conti», avvisa il sottosegretario al Lavoro, Carlo Dell’Aringa: «Dobbiamo affrontare innanzitutto il tema degli esodati, poi di quelli che hanno perso il lavoro o lo potrebbero perdere e non possono ancora essere pensionati: per loro si potrebbe pensare anche a una flessibilità verso la pensione» .
A pungolare il governo sul tema è sceso in campo ieri Cesare Damiano, Pd, presidente della commissione Lavoro della Camera: «Per intervenire sulle pensioni in modo approfondito è necessario impostare il problema da subito. Il governo sa che esistono proposte di legge già presentate da tutti i partiti, sostanzialmente convergenti».
La proposta Damiano (firmata con il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta) mira a consentire a chi ha 62 anni di età e 35 anni di contributi versati di poter andare in pensione con una penalizzazione dell’8%: «Si tratta di una soluzione che recupera un principio di gradualità disatteso dalla riforma Fornero, che ha innalzato bruscamente l’età pensionabile fino a 67 anni.
Inoltre, la proposta del Pd prevede per chi ha maturato 41 anni di contributi di andare in pensione indipendentemente dall’età anagrafica e senza penalizzazioni», per Damiano un «riconoscimento» ai lavoratori «precoci, che hanno cioè cominciato a lavorare in giovane età svolgendo prevalentemente, per tutta la vita lavorativa, attività manuali ripetitive o faticose».
Dell’Aringa la vede in maniera diversa: «La proposta Damiano la considero un’extrema ratio, perché anticipare la pensione comporta dai costi. È vero che si avrebbe come compensazione la garanzia di un maggior ricambio generazionale, ma dovrebbe trattarsi sempre di un’uscita su base volontaria. E comunque dipende dal tipo di penalizzazione: per garantire l’equivalenza di esborsi per il sistema previdenziale, bisognerebbe magari proporre a lavoratore di prendere per tutta la vita 1.000 euro anziché 1.500. Non è facile».
Insomma, spiega Dell’Aringa, «un tentativo di riforma della Fornero sulla flessibilità sarà preso in considerazione, ma ad oggi non c’è niente di scritto». Meglio piuttosto concentrarsi sulle categorie più deboli: «Innanzitutto, come ha detto il presidente del Consiglio, Enrico Letta, c’è da affrontare il tema degli esodati; sono 140 mila e devono andare in pensione con le vecchie regole. E bisogna vedere se ci saranno altri gruppi di possibili esodati. Poi bisogna pensare a tutti coloro che magari hanno perso – o potrebbero perdere a causa della crisi – il lavoro dopo la riforma Fornero e che dunque lontani dalla pensione. Per tutti costoro vanno pensate politiche di invecchiamento attivo, con incentivi alle imprese perché possano trattenerli.
Non escludiamo neanche la “staffetta generazionale”. E gli incentivi alla riassunzione degli «over 50», inseriti nell’attuale decreto sull’occupazione, si possono intensificare». Nelle situazioni più pesanti, continua Dell’Aringa, si possono invece prendere in considerazione altri interventi, come la cassa in deroga, la mobilità e i sussidi di disoccupazione, che vanno rafforzati e adattati ad hoc per chi perde il lavoro, magari prolungandoli. «Se non bastasse, si potrebbe pensare alla possibilità di anticipare la pensione per questi soggetti, facendo un’eccezione alla riforma Fornero. Ma questo significa occupare risorse consistenti».
Il tema dei costi è il più complesso da affrontare: «È tutto in relazione a che tipo di intervento si vuole scegliere e, in termini statistici, in relazione a quanti accettano su base volontaria una riduzione della pensione. E poi, quante saranno le persone in difficoltà? Anche la «staffetta generazionale», finora non si sa quanto costerà, è sperimentata in alcune regioni come la Lombardia o l’Emilia Romagna, aspettiamo di vedere come funziona lì, quanta gente accetta. Comunque i fondi sono limitati».
Il sottosegretario-economista ha un’altra ricetta: «Personalmente penso a un sistema di ammortizzatori sociali accompagnato da sistemi di attivazione, di ricollocazione del lavoratore. Nel decreto questo c’è: chi ha l’Aspi (il sussidio di disoccupazione, ndr ) può portare in dote metà dell’indennità all’azienda come incentivo per riassumerlo. È un meccanismo che rientra nelle politiche di pagamento del lavoro, e non della inattività».
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