Economia

Rischio Italia: l’economia tricolore non è sul carro dei perdenti

Recentemente, i titoli di stato italiani, i cosiddetti BTP, hanno sfiorato il rendimento decennale del 5%: si tratta dei valori più alti registrati da novembre 2012. Ora viaggiano sul 4%. Oltre al particolare contesto geopolitico ed economico, incide anche la condizione dei conti pubblici dell’Italia: la crescita del Paese risulta incerta e il debito pubblico rilevato è particolarmente elevato.

Quindi è vero che i titoli italiani risultano più rischiosi rispetto al passato, ma in confronto agli altri Paesi europei?

Rispondiamo a questa domanda per punti approfondendo i dati. 

Innanzitutto, per comprendere la salute dei conti pubblici nazionali, sono due gli indicatori più noti: l’indebitamento netto e il debito pubblico. Che non vanno confusi. L’indebitamento netto è la differenza tra le entrate totali e le uscite totali riportate nel conto economico consolidato e si registra in un arco di tempo. Al contrario, il debito pubblico rappresenta proprio l’ammontare complessivo dei debiti contratti.

Queste componenti in termini assoluti non permettono di avere una chiara idea se il Paese è in una situazione positiva o negativa. Per avere un quadro sulla stabilità dell’economia è importante metterli in relazione alla crescita economica di uno Stato. Si tratta di un aspetto fondamentale: l’abilità di incrementare le proprie entrate passa anche dai consumi e dalla produzione di beni e servizi per i quali vengono versate tasse e imposte e attirano capitali di investimento. Per questo motivo, il deficit e il debito vengono sempre considerati in rapporto con il PIL, che è la variabile che più si avvicina a misurare la crescita economica.

Il rapporto debito/PIL penalizza l’Italia

A livello europeo, il rapporto tra indebitamento netto e PIL è negativo, significa quindi che si trova in generale in una situazione di deficit. Si tratta comunque di un valore in calo: nel 2022 è stato pari al 3,4%, contro il 4,8% registrato l’anno precedente. Il deficit maggiore si è registrato nel 2020 (-7,1%) ma è un valore fortemente influenzato dagli impatti dell’emergenza sanitaria sull’economia. Per quel che riguarda invece il rapporto tra debito e PIL, i governi dell’Unione riportano mediamente una percentuale pari all’84%. Anche in questo caso si tratta di un valore in calo rispetto all’anno precedente (88%). Sono comunque valori che riportano variazioni consistenti all’interno dei singoli Paesi.

Quanto al rapporto debito pubblico/PIL, sono 13 gli Stati europei che superano il 60%, tra cui l’Italia, che occupa tristemente il secondo gradino del podio con 144,4%, preceduta solo dalla Grecia (171,3%) e seguita da Portogallo (113,9%) e Spagna (113,2%). Anche se si considera lo scenario mondiale il dato è tutt’altro che confortante: secondo il Fondo Monetario Internazionale, Grecia e Italia figurano tra le prime cinque economie mondiali per rapporto tra debito e PIL, rispettivamente al secondo e al quarto posto.

Lo spread, sorvegliato speciale

Ma, se forse il Belpaese è quasi ormai abituato ad essere “malvisto” da mercati, colleghi europei, istituzioni e agenzie di rating, c’è un altro dato che andrebbe guardato con più attenzione: lo spread tra BTP e Bund, portabandiera di un Paese, la Germania, tradizionalmente considerato virtuoso dall’UE. Attualmente viaggia intorno a quota 170, un differenziale ben lontano dai livelli massmi che raggiunse nel 2011/2012 con la crisi del debito o nel 2018. Quindi le conclusioni sono due: o l’Italia è eccessivamente penalizzata/sottovalutata o la Germania è meno rigorosa di quanto appare. Per rispondere alla prima tesi, attendiamo anche il rating di Moody’s di oggi venerdì 17 novembre a mercati chiusi. Per rispondere invece alla seconda, è sufficiente ricordare che due mesi fa Berlino è stata ammonita da Bruxelles per aver manipolato la finanza pubblica, dichiarando un deficit di bilancio dimezzato rispetto alla dimensione reale grazie all’utilizzo di fondi speciali esterni, ad esempio ottenuti per fronteggiare l’emergenza in Ucraina. Staremo a vedere chi ha ragione ma, per ora, uno spread a 170 punti ci fa sentire forse meno soli sulla barca di chi arranca. E le stime del Fondo Monetario Internazionale ci confermano che forse non sbagliamo, dato che l’Italia sta crescendo di più della Germania (PIL Italia a +1,1% nel 2023 e a +0,9% nel 2024, PIL tedesco -0,3% nel 2023 e +1,3% nel 2024).