Economia

Rischio recessione più grave nel 2023. Quale impatto sul debito pubblico?

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A inizio 2023 per i Btp si prevede un tasso decennale al 5,5-6%, ma è il debito pubblico a preoccupare, anche alla luce del rischio di recessione. Quanto è sostenibile il debito della zona euro nei prossimi anni, vista la prospettiva di un’ulteriore stretta monetaria da parte di Francoforte per far fronte alle pressioni dell’inflazione? Se lo chiede Alvise Lennkh-Yunus, executive director, sovereign ratings di Scope Ratings, l’agenzia di rating europea.

Secondo l’esperto, gli shock sul lato dell’offerta e delle ragioni di scambio di quest’anno garantiranno un’inflazione ben superiore all’obiettivo del 2% della Bce nel 2023-2024, con conseguenti ulteriori aumenti dei tassi di interesse nel tentativo della Bce di contrastare l’inflazione.

Debito pubblico: ecco perché sarà difficile tagliarlo

I conseguenti maggiori costi di bilancio, insieme alle deboli prospettive economiche, impediranno alle grandi economie dell’area dell’euro – Germania, Francia, Italia e Spagna – di ridurre significativamente il debito il prossimo anno, con rapporti debito/Pil che rimarranno vicini ai rispettivi livelli del 2022.

Secondo l’esperto, le azioni della Bce aumentano i costi di indebitamento per i governi e il rischio di recessione. Gli acquisti di titoli di Stato su larga scala effettuati dalla Bce negli ultimi anni avevano garantito la sostenibilità del debito pubblico nell’area dell’euro, aiutando al contempo gli sforzi della banca centrale per portare l’inflazione al 2% dopo molti anni di risultati inferiori all’obiettivo. Ora questi obiettivi si stanno scontrando. La necessità di contenere l’accelerazione dell’inflazione ha costretto la Bce, insieme alla maggior parte delle banche centrali, ad aumentare i tassi di interesse. Scrive Lennkh-Yunus:

“L’entità dei futuri aumenti dei tassi di interesse della Bce dipenderà dalle prospettive di inflazione, dall’evoluzione dell’economia, compresi i maggiori rischi di recessione, nonché dalla politica monetaria delle banche centrali di pari livello, in particolare della Federal Reserve. Il nuovo contesto di inflazione elevata metterà alla prova l’indipendenza e la capacità della Bce di stabilizzare i prezzi senza innescare una crisi del debito sovrano. Tuttavia, se la politica monetaria vuole portare l’inflazione complessiva dell’area dell’euro al 2%, è probabile che richieda una riduzione significativa della domanda complessiva, soprattutto perché l’inflazione è trainata principalmente da fattori di offerta, non da una crescita più elevata e dall’aumento dei salari. È improbabile che la Bce riesca a centrare l’obiettivo del 2% senza un inasprimento quantitativo, ossia una riduzione dello stock di titoli di Stato in bilancio”.

I governi dell’area dell’euro, continua l’esperto di Scope Ratings, dovranno adeguare i loro bilanci alle spese per i tassi d’interesse più elevati, mentre la Bce cerca di contenere l’inflazione, sottolineando l’urgenza di riforme che stimolino la crescita per contribuire a sostenere gli elevati livelli di debito pubblico. Sembra probabile un compromesso, sottolinea l’esperto. Seguendo questa strada, continua Alvise Lennkh-Yunus, la Bce rischia di provocare una recessione economica più grave nel 2023 e, inoltre, un aumento dei costi di finanziamento per i governi. Ciò metterà a dura prova gli sforzi dei governi dell’area dell’euro per stabilizzare il debito pubblico e potrebbe aumentare la pressione sulla Bce affinché rallenti, e infine interrompa, i suoi aumenti dei tassi.

“Tassi più alti nel breve periodo per combattere l’inflazione e solo un disimpegno molto graduale dei titoli di Stato nel lungo periodo, con interventi aggiuntivi, se necessario, per preservare la stabilità finanziaria. L’effetto combinato è una curva dei rendimenti più alta e più piatta. Ciò è importante per i bilanci pubblici di tutta l’area dell’euro, in quanto l’aumento dei tassi accentuerà i problemi di sostenibilità del debito nei prossimi anni, anche se si limiteranno gli aumenti significativi dei rendimenti specifici per ogni paese. Inoltre, i tassi nominali di mercato potrebbero rimanere elevati o salire ancora di più, indipendentemente dalle politiche della Bce, se quest’ultima dovesse tollerare un’inflazione più elevata e smettere di aumentare i tassi, ad esempio a causa di un rallentamento più marcato del previsto nel primo semestre del 2023”.

Infine, le crescenti esigenze strutturali dei bilanci pubblici dell’area dell’euro dovute alla spesa previdenziale legata all’invecchiamento della popolazione, alle pressioni al rialzo sulla spesa per la difesa e alle esigenze della transizione energetica complicheranno gli sforzi per aggiustare i saldi primari. In queste circostanze, l’attuazione di riforme che favoriscano la crescita è quindi fondamentale per garantire la sostenibilità del debito pubblico.

Le stime di Mazziero Research

Rimanendo in tema debito, Mazziero Research stima per il mese di settembre un ulteriore calo del debito pubblico a 2.735 miliardi, in discesa dai precedenti 2.758 miliardi. Questo risultato avrebbe anche una ricaduta positiva nei confronti del Pil 2023, stimato in rialzo dello 0,8%.

Per fine anno si attende un debito compreso tra 2.708 e 2.741 miliardi, anche se probabilmente dovrà essere rivisto al rialzo a seguito degli scostamenti di bilancio per far fronte al caro energia. Dopo la pubblicazione Istat del Pil al 3° trimestre a +0,5%, stimiamo una crescita per l’intero 2022 3,9%, che verrebbe raggiunta anche con un 4° trimestre piatto.

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