MILANO (WSI) – Ci sono 41 milioni di euro custoditi in un conto svizzero alla base di quel colpo che monsignor Nunzio Scarano insieme al broker e allo 007 voleva mettere a segno. Si tratta di denaro di cui non si conosce la provenienza e di cui risulta fiduciario Giovanni Carenzio, il broker. Un personaggio poliedrico che, in un’altra vita nei primi anni duemila era molto amico di Clemente Mastella e del senatore Roberto Napoli, già capogruppo Udeur al senato e poi membro Agcom fino allo scorso anno. Carenzio non è più in buoni rapporti con Mastella da molti anni e vanta un tesoretto in Svizzera.
A testimonianza che quei 41 milioni esistano realmente i magistrati hanno depositano agli atti alcune corrispondenze. Come la mail inviata il 20 giugno 2012 da un funzionario del servizio finanziario Ubs, che il Fatto ha cercato di contattare senza trovare risposta. “Il dossier titoli – è riportato nel testo della mail inviata a Carenzio – è stato ricevuto dalla banca. Come da istruzioni ricevute, abbiamo proceduto a vendere il fondo Orchis Eur Short per un importo di 41.082.853 di euro. Ti aspetto il 12 luglio”.
È la prova che i soldi sono stati sbloccati. La data 12 luglio invece è quella che inizialmente il trio formato da Giovanni Zito, Giovanni Carenzio e monsignor Nunzio Scarano, tutti finiti agli arresti per corruzione, aveva concordato per andare in Svizzera e prendere il denaro. La data poi è stata posticipata e la quantità di denaro da far rientrare illecitamente ridotta, scendendo a 20 milioni di euro.
Come racconta l’indagine della Procura di Roma, il colpo non viene messo a segno per il deteriorarsi dei rapporti personali tra i tre. Intanto sui 41 milioni custoditi in Svizzera stanno indagando i magistrati. Potrebbero essere il provento illecito dell’attività dello stesso broker Carenzio, già indagato in Spagna per appropriazione indebita. Ma potrebbe anche essere denaro proveniente da altri canali. E se non si ha certezza sulla provenienza, è però chiaro per i magistrati chi fosse il beneficiario dell’operazione.
Stando a quanto riportato nell’ordinanza d’arresto, il rientro di capitali avrebbe rappresentato un favore per i fratelli Paolo e Cesare D’Amico, anche questi iscritti nel registro degli indagati per infedele dichiarazione fiscale. Paolo D’Amico è il presidente della Confitarma, la Confederazione degli armatori di Confindustria. Il cugino Cesare è socio con lui della D’Amico International Shipping, un gruppo, quotato in borsa, che è stato fondato nel 1936 e che fattura circa 600 milioni di dollari in tutto il mondo.
I D’Amico sicuramente sono in ottimi rapporti con il monsignor Scarano, il quale si mette a completa disposizione della famiglia di armatori, anche quando ciò significa mettere le mani nei propri conti. Come quando bisognava pagare lo 007 Giovanni Zito per il disturbo di aver aspettato quattro giorni a Locarno il denaro che non è mai arrivato.
In quel caso, anche se a beneficiare dell’operazione sarebbero i D’Amico, Scarano stacca due assegni: il primo di 400 mila, il secondo di 200 mila euro, che poi cercherà di non far incassare al suo ex socio con un escamotage. Si presenta all’ispettorato di polizia del Vaticano e denuncia lo smarrimento di assegni in bianco, calunniando l’agente dell’Aisi. Poi tenta di farsi ridare indietro i 400 mila euro.
Voleva far figurare quel primo bonifico come un prestito e non un compenso. Dopo aver pagato quella cifra, dovuta per un’operazione saltata, però il monsignor Scarano si ritrova con meno denaro a propria disposizione. E ne parla al telefono proprio con Maurizio D’Amico il 20 luglio 2012, quando gli confida di trovarsi in una situazione precaria causata dall’emissione di assegni di elevato importo a favore del “suo amico dei servizi”.
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