Società

Rivoluzione in casa OpenAI, sarà una società for profit. Obiettivi e rischi

Si profila una vera e propria rivoluzione in casa OpenAI. Secondo indiscrezioni pubblicate sulla stampa americana, il consiglio di amministrazione dell’ex start up con sede a San Francisco, che sviluppa la celebre ChatGPT, starebbe valutando l’ipotesi di ristrutturare l’azienda per trasformarla da no profit a società a scopo di lucro. Un’operazione grazie alla quale il suo ceo, Sam Altman, otterrebbe il 7% del capitale.

Obiettivi

Dietro il passaggio a un modello a scopo di lucro, spicca la necessità di OpenAI di accedere a maggiori risorse finanziarie per sostenere la crescita e i progetti futuri. La forma attuale, sebbene abbia permesso di raccogliere investimenti significativi, ha finora rappresentato un ostacolo alla capacità di remunerare gli investitori e di attrarre nuovi capitali. Non solo. Alcune fonti spiegano che se il gruppo californiano non cambiasse forma giuridica potrebbe, nel giro di due anni, dover restituire i soldi  agli attuali finanziati.

Di qui la decisione di cambiare. Tutto questo avviene mentre OpenAI, sostenuta da Microsoft, sta attualmente perseguendo un round di finanziamento per raccogliere una cifra vicina ai 6 miliardi di dollari e che valuterebbe l’azienda oltre 150 miliardi di dollari, secondo quanto riferito da fonti sentite da CNBC. Tra i potenziali investitori, oltre a Microsoft, Nvidia e Apple, ci sarebbero anche Thrive Capital sta guidando il round e prevede di investire 1 miliardo di dollari, e Tiger Global.

Conseguenze e rischi

Diventando una società for profit, per la prima volta, Altman e probabilmente altri dirigenti, riceveranno azioni nella società, allineando i loro interessi finanziari con quelli degli investitori.  Questa transizione, vista come essenziale per migliorare le prospettive finanziarie e la flessibilità operativa di OpenAI, solleva non poche preoccupazioni. Soprattutto riguardo alla responsabilità etica nello sviluppo dell’IA. I critici temono che dare priorità al profitto possa compromettere l’impegno di OpenAI ad adottare pratiche sicure e responsabili.

Terremoto ai piani alti del gruppo

Che la società stia attraversando una fase di fermento lo dimostra il mini-terremoto che sta interessando i manager del gruppo. Dopo che Mira Murati, Chief Technology Officer di OpenAI, nonché figura chiave nella gestione di importanti prodotti, tra cui il famoso chatbot ChatGPT, ha dichiarato ieri di voler lasciare l’azienda, anche il capo della ricerca Bob McGrew e Barret Zoph, vicepresidente della ricerca, si sono detti pronti a fare lo stesso. Tra i dipendenti attuali ed ex sono molti a temere che l’azienda stia crescendo troppo rapidamente per operare in modo sicuro.

La storia in breve

Fondata nel 2015 come società senza scopo di lucro, OpenAI ha mosso i primi passi, facendo affidamento solo su donazioni per finanziare la sua ricerca. La missione era quella di sviluppare l’intelligenza artificiale “senza essere condizionata dalla logica stringente del profitto”. Un modello che, nel giro di poco, ha mostrato tutti i suoi limiti, in quanto non sostenibile per supportare i i suoi ambiziosi progetti di intelligenza artificiale e alla luce dell’incremento del giro d’affari. Un rapporto di The Information, pubblicato lo scorso giugno, evidenziava ricavi annuali raddoppiati nella prima metà dell’anno, grazie alla versione in abbonamento di ChatGpt.