ROMA (WSI) – La riforma delle banche popolari, oggetto di rumor e speculazioni per almeno due sedute, a Piazza Affari, è stata annunciata dallo stesso premier Matteo Renzi.
Un annuncio accompagnato da una ondata di polemiche da più parti. Non dal mercato, che continua a premiare i titoli (che ora, scommettendo su una fase di consolidamento bancario, sono visti dagli investitori come più appetibili, in quanto contendibili).
Renzi è ricorso alla misura del decreto, che andrà a cambiare tutte quelle banche popolari che dispongono di un patrimonio superiore a 8 miliardi di euro: il decreto si rivolge dunque a 10 banche, che entro 18 mesi dovranno trasformarsi in società per azioni. Non saranno toccati, invece, gli istituti di credito cooperativo.
“In Italia ci sono troppi banchieri e facciamo poco credito”, ha ribadito per l’ennesima volta Renzi. La storia dirà se il premier ha avuto ragione o meno. Si deve dare atto al premier che la riforma sulle popolari arriva dopo 40 anni di tentativi falliti. Lui stesso parla di momento storico.
“Il sistema del credito ha bisogno di sostegno e di cambiare – ha detto Renzi- il momento che stiamo vivendo è di grandi cambiamenti per la politica economica europea e nelle prossime ore sono attese importanti decisioni a vari livelli ed è fondamentale che il Paese si presenti con una serie di modifiche al sistema bancario”.
“Dopo vent’anni di dibattito interveniamo attraverso un decreto sulle banche popolari” ha spiegato ancora “ma non su tutte le banche”, visto che “le Bcc (banche di credito cooperativo) rimangono come tali, le banche popolari rimangono come tali. Le popolari molto grandi, invece hanno 18 mesi di tempo per fare quello che il mercato richiede loro e cioè le Spa”, in questo modo superando il voto capitario (secondo il quale, ogni socio è titolare di un singolo voto indipendentemente dal numero delle azioni possedute o rappresentate).
“Nessun intervento sulle banche di credito cooperativo, non si tratta di danneggiare la storia di piccoli istituti ma di far sì che le banche sul territorio siano all’altezza delle sfide europee e mondiali”. E ancora il premier ha precisato: “il nostro sistema bancario è solido, sano e serio. Ma ha bisogno di avere elementi di innovazione”.
Al suo fianco il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che parla di trasformazione delle banche popolari più grandi in società per azioni come di un mezzo che le renderà “più forti”. Si tratta di “una misura che rafforza il sistema bancario italiano che andrà sempre meglio man mano che la ripresa si consolida ed è interesse del sistema bancario e dei consumatori”.
Si “concilia la necessità di dare una scossa forte preservando però in alcuni casi una forma di governance che ha servito bene il Paese”, ha aggiunto il ministro – Andranno valutati in futuro altri suggerimenti di modifica della governance”, con un approccio di “gradualità ma indirizzo chiaro”.
PRESSIONI SU RENZI, PERCHE’ TANTA FRETTA?
Ma perchè tutto questo desiderio da parte di Renzi a riaprire il dossier sulle banche popolari, e scatenare così un attacco che è arrivato da più parti? La verità è che Renzi doveva rispondere ai piani alti del mondo della finanza, ovvero al Fondo Monetario Internazionale, che aveva chiesto espressamente una riforma su tale tipologia di banche. Anche la Commissione europea voleva una riforma, così come anche Bankitalia e l’Antitrust.
La banche coinvolte nella riforma sono le 10 principali banche popolari italiane. Stando a quanto fa notare il Corriere della Sera, “la classifica mostra ai primi posti Ubi, Banco Popolare, Bpm e Bper tutte quotate così come le valtellinesi Creval e Popolare di Sondrio. Quotata anche Banca Etruria, mentre fuori dal listino restano le due big venete: Popolare di Vicenza e Veneto Banca. La decima, con attività tangibili per oltre 9 miliardi, è la più grande popolare del Mezzogiorno: la Popolare di Bari”.
Il nodo da sciogliere però non è indifferente. La riforma di un settore, di norma, viene spiegata con l’inefficienza dello stesso.
In questo caso, invece, il comparto funziona bene. C’è poi tutta una serie di interessi che gravitano attorno a questi istituti, di natura ovviamente localistica. L’altro elemento identificativo del settore è il forte radicamento sul territorio, elemento che ha permesso di andare avanti in sei anni di crisi.
Ma è innegabile che il modello delle popolari, in questi anni di crisi, ha resistito. Basti pensare che l’intero settore delle banche (non popolari) ha perso in cinque anni 30.000 dipendenti e migliaia di sportelli. Nel caso delle popolari, invece, nell’arco di tempo compreso tra il 2006 e il 2014 è vero che il numero degli istituti è sceso da 93 a 70, ma parallelamente gli sportelli sono aumentati da 7.700 a quasi 9.300 (con una quota che rappresenta il 25% del mercato); il numero dei dipendenti è passato da 73.000 a 81.000, i soci da 1,045 milioni a 1,340 milioni, i clienti da 8,1 milioni a oltre 12 milioni e il totale dell’attivo da 387 a 450 miliardi.
Proprio questo scatena le critiche del presidente di Confartigianato Giorgio Merletti, che afferma che “Il sillogismo grande banca-grande credito non sembra aver funzionato. Gli imprenditori non registrano miglioramenti nell’accesso al credito con gli istituti di grandi dimensioni. Al contrario, il localismo bancario ha contribuito allo sviluppo del sistema produttivo italiano rappresentato per il 95% da piccole imprese. È il modello di sviluppo fatto di intreccio dell’economia con il territorio, idoneo a reggere la sfida dell’economia globale. Per questo siamo contrari alle ipotesi di riforma delle banche popolari all’attenzione del Governo”, dice il presidente di Confartigianato, secondo il quale “il modello dell’economia globalizzata va coniugato con i sistemi di economie locali che hanno fatto la storia e il successo del made in Italy”.
Il coro dei no è lungo. Si va dagli attacchi sempre coloriti del Movimento 5 Stelle: “Ecco che si prepara il solito blitz a favore dei grandi banchieri amici e a scapito del tessuto produttivo delle piccole e medie imprese. Il governo punta allo stravolgimento del settore del credito cooperativo e popolare che in questi anni di crisi ha sostenuto le erogazioni all`economia reale mediamente meglio delle grandi società per azioni dell`intermediazione bancaria”; alle dichiarazioni del presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, che afferma che l’ipotesi di una riforma delle banche popolari è “una vergogna”, perché “con la trasformazioni in Spa e l’abrogazione del voto capitario si sta chiudendo di fatto tutto quello che è la banca del territorio, che aiuta la nostra famiglia e le nostre imprese, la banca mutualistica come la definiscono negli Stati Uniti”.
Il pericolo maggiore all’interno della maggioranza arriva dal Nuovo Centrodestra. Secondo indiscrezioni stampa, durante la riunione a Palazzo Chigi, ieri sia il ministro dell’Interno Angelino Alfano che il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi hanno manifestato la loro contrarietà al proveddimento. Lupi ha ricordato in particolare come il 66% del credito erogato dalle banche popolari sia a favore delle imprese, a fronte di una media nazionale del 36%.
Ha parlato poi anche una delle dirette interessate. È necessario “maneggiare con cura” le banche popolari perchè con una riforma “che avvenisse senza transizioni” esiste la possibilità “che ci sia un gruppo di fondi di private equity esteri che possa approfittare di questa situazione” prendendo di “mira due o tre banche”, ha messo in guardia il ceo di Bper, Alessandro Vandelli, nel corso di un’audizione in Senato.
EQUITA VEDE CREAZIONE DI DUE SUPERPOPOLARI
Dal canto suo Federico Ghizzoni, numero uno di Unicredit, ha affermato che la riforma delle banche popolari potrebbe aiutare una nuova fase di consolidamento del sistema bancario italiano.
“Non conosco i contenuti né siamo stati coinvolti, non essendo una banca popolare. Credo però che questo approccio sia legato al desiderio di rendere il mercato sempre più aperto e trasparente e quindi potrebbe favorire il tanto atteso consolidamento italiano. Però mi fermo qua perché non conosco i contenuti esatti din questa riforma”.
Con il decreto legge per trasformare le popolare in Spa fra 18 mesi gli analisti di Equita Sim vedono “una forte accelerazione nel consolidamento” del settore bancario. Le aggregazioni potrebbero coinvolgere più di due soggetti (Bpm più Bper più Credito Valtellinese e/o Banco Popolare) con la creazione di due superpopolari che facciano capo ad Ubi e alla Popolare di Milano.
Di fondo, rimane però la paura che le banche popolari vengano date in pasto agli squali della finanza e della speculazione.
Da segnalare, infine, che il piano sulle banche contiene una disposizione sulla portabilità dei conti correnti, che agevola il passaggio da un Istituto all’altro. “senza oneri o spese di portabilità a carico del cliente” ed entro termini definiti e contenuti. Se questi non vengono rispettati è previsto un risarcimento al cliente “in misura proporzionale al ritardo e alla disponibilità esistente sul conto”.
Intanto, trascorse le 11 ora italiana, i titoli delle banche rallentano la corsa: Bper +5,22%, BPM, +1,84%, BP +4,46%, Ubi Banca +1,19%.