(WSI) – Sembrava una di quelle battute di grana grossa, buttate lì per deliziare i propri elettori. E invece nella boutade di tre giorni fa del ministro leghista Calderoli («Non sono mai stato a pranzo con un romano») c’era il preannuncio di un’operazione politica più sofisticata.
La suggestione di una Roma corrotta e corruttrice, prima è stata preparata dal «Giornale» e da «Libero», i due giornali che meglio interpretano (e talora anticipano) gli umori più profondi del presidente del Consiglio. Ma poi, due sere fa, è stato lo stesso Silvio Berlusconi a far trapelare quella frase lapidaria («Se c’è qualcuno che ha sbagliato, paghi») che ribalta lo schema ininterrottamente in vigore da 16 anni: dietro qualsiasi indagine sui politici di centrodestra c’è sempre e comunque un disegno ostile, un complotto, una manovra delle toghe rosse.
La svolta è accompagnata dal lavoro giornalistico e di commento realizzato dal «Giornale»: il quotidiano diretto da Vittorio Feltri ha pubblicato un elenco dettagliatissimo delle «attività» dell’imprenditore Diego Anemone, mentre Giancarlo Perna, una delle firme di punta del giornale, scriveva: «Scajola dovrà pur spiegare la storia della casa e perché Verdini si occupa delle pale a vento quando il Pdl ha bisogno delle sue cure».
Il titolo di apertura della seconda pagina era inequivocabile: «Dalla Capitale al Circeo, tutti facevano la corte al costruttore rampante». Effettivamente una vicenda «romanesca», visto che la stragrande maggioranza dei personaggi coinvolti è romano o vive nella capitale. Certo, è presto per capire se la svolta «moralizzatrice» sarà duratura. Ma se lo fosse, sarebbe una sorpresa? Non è qualcosa di già visto?
«Certo che si è già visto, è lo stesso schema del 1994 – sostiene Bruno Tabacci, a quei tempi parlamentare Dc -. Allora i Tg di Mediaset e i giornali di destra sostennero a spada tratta Mani Pulite per favorire l’ascesa del «nuovo» Berlusconi, il ricco che non aveva bisogno di rubare. E ora, abilissimo come è nella sua capacità camaleontica e temendo di essere travolto, ci riprova, con una variante: farà la parte del tradito, del tipo: ma come, vi ho fatto parlamentari, ministri, e voi che mi combinate?».
Dunque c’è qualcosa di nuovo, anzi di antico nell’approccio berlusconiano. Con una differenza importante rispetto al 93-’94. Stavolta al governo c’è lui. I boatos che anche ieri si rincorrevano a Montecitorio e a Palazzo Madama facevano paura: oltre alle consuete voci sul coinvolgimento di altri due, tre ministri, ne circolavano altre relative a richieste di arresto in arrivo alla Camera nei confronti di notabili del Pdl.
E anche se è difficile calcolare la potenza d’urto dell’ondata giudiziaria in arrivo, tra i «subpartiti» del Pdl, i rischi maggiori sembra correrli quello romano e postdemocristiano di Gianni Letta, rispetto a quello nordista di Giulio Tremonti.
Per ora l’inchiesta sul G8 ha costretto alle dimissioni Claudio Scajola, un politico di «territorio», di ascendenza democristiana, vicino a Gianni e distante da Giulio Tremonti. Tanto è vero che uno che democristiano lo è ancora come il ministro Gianfranco Rotondi non si arrende: «Su Scajola bisogna aspettare, potrebbe uscirne a testa alta e magari scopriremo che i ladri si sono rubati tra di loro…».
Ma le voci più ricorrenti, tutte da dimostrare, sussurrano di coinvolgimenti di ministri ex An (dell’ala anti-Fini), di personaggi fuori cordata come Denis Verdini, mentre risulterebbe indenne tutta l’ala «nordista».
Certo, un’inchiesta della magistratura allo stato iniziale impone riserbo ed è quello che si è pubblicamente imposto Gianfranco Fini. Che in chiacchierate strettamente private ritiene che per lui la cosa migliore, in questa fase, sia «di stare fermo». E di attendere sviluppi giudiziari che potrebbero essere destabilizzanti, sussulti che lo staff del presidente della Camera colloca in estate, tra la fine di giugno e il mese di settembre.
E Giulio Tremonti? Da due anni ostile a qualsiasi concessione alla «finanza allegra», lui stesso da tempo spiega il suo inossidabile riserbo sulle questioni politiche con queste parole: «Mi sono imposto un profilo basso», Certo, per non irritare il presidente del Consiglio sempre diffidente col protagonismo delle personalità forti, «ma anche perché – per dirla con un personaggio di prima fila del Pdl – a lui non resta che aspettare, a questo punto in prima fila come erede al trono c’è proprio lui».
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Governo in caduta libera nei sondaggi: Berlusconi corre ai ripari
di Marco Conti
(WSI) – Una busta piena di dvd di Blockbuster varca in serata il portone di palazzo Grazioli. Silvio Berlusconi è febbricitante e ancora preda della «lieve indisposizione», come la definisce Gianni Letta per giustificare l’assenza del premier alla tradizionale festa della Polizia. Difficile sapere se quei dvd arriveranno nelle stanze del Cavaliere. Certo è che, salvo Letta e Bonaiuti ieri nessuno, nemmeno il sempre presente Niccolò Ghedini, è andato a turbare il riposo del premier.
L’umore del Cavaliere non è dei migliori. Per tutto il giorno, in tuta e vestaglia, Berlusconi si gira tra le mani le percentuali dei sondaggi che danno governo e ministri in caduta libera dopo l’affaire-Scajola e l’inchiesta G8. Al punto che ieri pomeriggio Berlusconi ha preso nuovamente carta e penna per ribadire ciò che ha già detto tre giorni fa cenando con un gruppo di imprenditori («nessuna impunità per chi ha sbagliato»). Con un’aggiunta però non da poco: «Basta con queste assurde isterie, con queste liste di proscrizione».
Cinque righe in perfetto equilibrio tra l’esigenza di dover dare risposte ferme a un elettorato insoddisfatto e che invade di email le caselle del partito, e il dna garantista che ha sempre caratterizzato il centrodestra berlusconiano, da sempre pronto a scattare contro le toghe politicizzate.
Vuoto palazzo Grazioli, deserta ormai da giorni anche l’aula di Montecitorio dove impazzano scolaresche in visita guidata. «E’ tutto fermo, siamo in attesa dei fuochi d’artificio, ma così è la paralisi», spiega desolato un deputato-Pdl che alla buvette di Montecitorio azzanna un panino.
Stretto tra inchieste e crisi economica, Berlusconi studia ormai da giorni l’exit strategy. Con un occhio alle indiscrezioni dei giornali e un altro ai mercati, prima di procedere alla sostituzione di Scajola, attende che il vento si plachi. La dovuta accelerazione sul ddl anti-corruzione lo fa masticare amaro e si innervosisce al solo pensiero che qualcuno dei suoi ministri e parlamentari possa aver abusato della sua fiducia.
La tentazione di cavalcare la voglia di pulizia che si respira nell’elettorato è però frenata dal timore che alla fine «il frullatore» possa non risparmiare anche suoi strettissimi collaboratori. Le novità dell’inchiesta-Anemone hanno spinto la sera precedente Guido Bertolaso sino a palazzo Grazioli.
Oggi il capo della Protezione Civile presenterà il suo successore, l’ex prefetto dell’Aquila Franco Gabrielli, a dirigenti e funzionari del Dipartimento. Ufficialmente Gabrielli si insedierà come vice capo dipartimento che però c’è già, ma la sovrapposizione con Vincenzo Spaziante potrebbe durare molto poco perché il tentativo di effettuare un avvicendamento soft e non per dimissioni, rischia di scontrarsi con le novità dell’inchiesta. Berlusconi vuole evitare si ripeta la traumatica uscita di Scajola e soprattutto che si assecondino dimissioni senza che vi sia stato un ben che minimo provvedimento giudiziario, ma comincia ad essere un po’ stufo dei modi di Bertolaso e delle sue esternazioni.
«Non è una nuova tangentopoli», continua a ripetere Berlusconi che viene “salvato” e anzi, “invocato” dal suo elettorato sul web affinché faccia pulizia dai ladri. Un elettorato che forse ricorda meglio di alcuni esponenti del Pdl i motivi attraverso i quali nel ’94 il Cavaliere spiegò il suo ingresso in politica. Un elettorato che però in questo momento potrebbe non capire la stretta sulle intercettazioni.
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